Manzoni visto con gli occhi di Caravaggio
Ogni volta che mi capita sotto mano I promessi sposi non posso fare a meno di ricordare una scena del film Il portaborse di Daniele Luchetti. Il personaggio del “portaborse” (Silvio Orlando) è un appassionato professore di liceo in aspettativa che davanti ai “suoi” ragazzi in procinto di affrontare l’esame di maturità prova a snocciolare in pochi minuti tutti i consigli e le informazioni giuste. E preso dal fervore della sua spiegazione dice: “La letteratura italiana dell’Ottocento, ve l’ho detto migliaia di volte, è penosa, andrebbe saltata in blocco. Che cosa ce ne può importare a noi di un Silvio Pellico, di un Berchet, di uno Zanella, di un Carducci? E anche Manzoni! Diciamo una buona volta la verità: mentre lui per cinquant’anni scrive e riscrive I promessi sposi, Balzac infila uno dopo l’altro dieci capolavori, Melville scrive l’immenso Moby Dick e Dostoevskij… Be’, Dostoevskij scrive: L’idiota, Delitto e castigo e I fratelli Karamazov, eh!” Poi penso alle generazioni di studenti piegate sulle pagine manzoniane senza (nella maggior parte dei casi) trarne alcun conforto e alcun piacere. E a quanti di loro darebbero ragione al “portaborse”.
Eppure quei “cinquant’anni” di cui parla il professore prestato alla politica non sono passati invano. Anzi. Non spetta a me vestire i panni dell’avvocato difensore di Manzoni, si difende benissimo da solo. Però una rilettura, va ricordato il più spesso possibile, di questo capolavoro fa bene anche a chi la scuola l’ha finita da tempo. La sua popolarità non è soltanto un canone imposto dall’alto. Il romanzo di Renzo e Lucia è anche un romanzo popolare. Un romanzo ambiziosamente realistico, che destruttura l’immaginario barocco per un’opera rivoluzionaria. E sono arrivato a questa conclusione non dopo aver riletto il capolavoro manzoniano, bensì dopo aver divorato letteralmente le pagine di un saggio appena uscito dal titolo Un romanzo per gli occhi (Manzoni, Caravaggio e la fabbrica del realismo) di Daniela Brogi (Università di Siena). Questo volume (pubblicato da Carocci) spiega in maniera estremamente semplice e con validi argomenti che Manzoni ha prodotto un romanzo non soltanto realistico e ambiziosamente edificante, bensì popolare, cioè capace di abbattere “le gerarchie tra tradizione e mitologia”. E lo ha fatto seguendo un esempio (visivo) illustre: Michelangelo Merisi da Caravaggio. I due infatti condividono la stessa terra, lo stesso humus, la stessa prospettiva e lo stesso immaginario. Nonostante li separino due secoli, Caravaggio e Manzoni hanno in comune un metodo (ispirato, tra l’altro, come ben sottolinea la Brogi, alle dottrine religiose maturate dopo il Concilio di Trento). In entrambi, infatti, il Cristianesimo “agisce come un codice culturale capace di restituire visibilità e seiretà prospettica a ciò che la Storia aveva lasciato” nel cono d’ombra della dimenticanza. Gli umili diventano protagonisti – nel caso di Manzoni – di un vero romanzo storico: nel senso di un romanzo in cui anche le moltitudini vengono toccate dalla Storia. Tra le sue pagine i grandi eventi sono visti con gli occhi degli umili che ne pagano le conseguenze dirette. E la Storia è quindi senso comune dell’epoca, ovvero “storia della mentalità”.
La studiosa senese prende il romanzo (soprattutto l’edizione arricchita dalle illustrazioni di Francesco Gonin (1840) e lo confronta con il lavoro pittorico di Caravaggio. Il pittore del Seicento e il romanziere dell’Ottocento mostrano un “realismo cristiano” dove Cristo, appunto, scende tra gli uomini, tra le immagini e le esperienza della vita di tutti i giorni. La Brogi porta tanti esempi della pittura caravaggesca dove, proprio come accade nelle pagine del romanzo, la vita quotidiana e le espressioni dell’umiltà vengono elevati a paradigmi simbolici.
Personalmente ho riveduto molto il mio giudizio sul Manzoni. Grazie a questo saggio ho capito che il Manzoni ha portato a termine qualcosa di estremamente ambizioso. Non ha fatto soltanto un romanzo edificante (il bene che vince sul male), un romanzo di formazione (Renzo che alla fine si fa scaltro dopo tutte le corbellerie che l’ingenuità e l’inesperienza gli hanno fatto fare), un romanzo sulla Misericordia e un romanzo storico (con tutte le implicazioni che abbiamo sopra riportato). Manzoni ha anche confezionato un romanzo “popolare” che ripropone anche visivamente la mentalità e l’immaginario della Controriforma.
La sua ambizione mi ricorda quella del grande regista Stanley Kubrick che per portare sul grande schermo la storia di Barry Lyndon ha voluto immergere gli attori in “quadri” come quelli che vedeva uno scrittore dell’Ottocento (William Thackeray). Opere pittoriche cioè che se non raccontavano in maniera puntuale e con realismo la vita dell’epoca, comunque plasmavano proprio con la loro estetica l’immaginario del tempo.
Insomma il professore prestato alla politica nel film di Luchetti aveva torto. I dieci romanzi di Balzac non valgono il solo capolavoro manzoniano, capace di metterci sotto gli occhi non solo un mondo lontano, così come era visto e vissuto dalla gente del tempo, ma anche renderlo ancor oggi magistralmente utile a capire il mondo e il ruolo della Misericordia.