La vita “adolescente” dello scrittore secondo Amis
James Boswell è stato un importante giurista e aforista scozzese del XVIII. La sua fama, però, è una fama di riflesso perché è conosciuto soprattutto per essere stato il biografo di uno dei più importanti scrittori inglesi: Samuel Johnson (che in fatto di aforismi resta un maestro insuperato). La celebre Vita di Samuel Johnson (da noi pubblicata da Garzanti) non solo restituisce la personalità e l’esperienza letteraria di Johnson (critico, poeta e autore di un celebre dizionario) ma aiuta anche a capire come evolve la figura dell’intellettuale tra esperienza diretta e mediata (la formazione culturale). Quando la lessi mi colpì soprattutto la grande messe di virgolettati. Magari su questioni minori o di vita quotidiana. E mi immaginavo il povero Boswell sempre col taccuino in mano quando era in compagnia di quel monumento vivente (era un’epoca nella quale poeti e intellettuali erano più influenti degli influencer di oggi). Questa buffa immagine mi è tornata in mente leggendo La storia da dentro di Martin Amis (Einuadi).
Amis si cimenta in un canone che egli stesso chiama life-writing. Molto diffuso nel mondo anglosassone. Qui da noi si conosce soprattutto una sua derivazione: l’autofiction. Amis racconta di sé, ovviamente. Della sua vita, della sua famiglia e dei suoi amici. E ovviamente del suo lavoro. Ma il suo lavoro e il suo privato viaggiano su un unico binario. I suoi amici sono prevalentemente scrittori, e anche in famiglia Amis è pieno di colleghi (il padre Kinsgley e la sua matrigna Elisabeth Jane Howard, quella della fortunata saga dei Cazalet Chronice).
Quindi il libro ripercorre sì la sua vita (che è terminata, tra l’altro, pochi mesi dopo la pubblicazione di questo volume: il 19 maggio di quest’anno) ma si dilunga anche nel racconto dei suoi amici. A partire dal “padre putativo” Saul Bellow, da Amis ritenuto il miglior scrittore americano della sua generazione. C’è spazio anche per il poeta inglese Philip Larkin, per Iris Murdoch, e soprattutto dell’amico fraterno Christopher Hitchens. Ed è nei passaggi in cui Amis racconta di Saul e “Hitch” che mi è tornato in mente il povero Boswell. Amis riporta dialoghi e commenti degli amici con una pervicacia davvero insolita. Anzi c’è proprio un passaggio in cui si descrive mentre al telefono con Hitch prende appunti su un bloc-notes, fermando per sempre le parole dell’amico. Ed è un ricchissimo florilegio di citazioni e argomentazioni dedicati ai temi più urgenti (l’imperialismo americano, la pace, l’antisemitismo, le purghe staliniane, l’ambiente ma soprattutto la lotta al conformismo letterario e alla dittatura del politically correct).
Amis semplicemente ricorda che uno scrittore passa gran parte della sua vita seduto a una scrivania quindi un resoconto delle sua esistenza non può prescindere dalla cronaca di come si formano idee, gusti e di come nascono i progetti letterari. Ma uno scrittore è senza dubbio anche un raffinato e appassionato lettore (indimenticabili le pagine dedicate a Nabokov e a Conrad).
Se questo testo non è classificabile (memoir? Autobiografia? Saggio?) è anche colpa della sincerità dello scrittore nel mettersi a nudo e nell’alternare dialoghi (in prima o in terza persona), ricordi, citazioni e riflessioni. D’altronde lo dice egli stesso: “Per un romanziere il guaio del life-writing è che la vita ha una certa qualità o proprietà che è nemica della finzione. La vita è prima di forma, non va da nessuna parte non si incentra intorno a nulla, non è coerente. Artisticamente è morta”.
Amis vince la sfida: rende appassionante per il lettore un testo che apparentemente non ha che un labile filo conduttore (la sua vita), perché si mette a nudo e nel registrare il suo lavoro offre anche utili lezioni di scrittura creativa. Soprattutto innalza due suggestivi e commoventi monumenti al padre putativo (Saul) e all’amico fraterno (Hitch). Come fece Boswell di Johnson. Nel mercato editoriale di oggi – mi viene però da pensare – James Boswell sarebbe una vera star. Basterebbe un minimo di “protagonismo” e maggiore impudenza per divenire più famoso del celebre dottor Johnson.