C’è una distanza siderale tra il Pablo della famosa canzone di Francesco De Gregori e il Pablo protagonista di una dei romanzi brevi che compongono il trittico Certe sere Pablo di Gabriele Pedullà (Einaudi). Eppure hanno raggiunto la propria “fama” negli stessi anni. Quegli anni Settanta  legati ormai indissolubilmente alla militanza politica, al terrorismo e alla patina ideologica che tutto avvolgeva in un abbraccio spesso soffocante.

Il primo, il Pablo  del “Principe”, è una vittima. Un povero operaio emigrato, morto in un cantiere poco attrezzato. Il secondo è un capopopolo, un “primo della classe” che negli anni della “militanza obbligata” non solo sfoggiava la sua bellezza, la sua prestanza fisica e la sua incrollabile fede nelle magnifiche sorti e progressive, ma anche una ragazza bella, ricca e borghese con casa su piazza Navona proprio di fronte alla fontana del Bernini.

Tre racconti (o tre romanzi brevi) che ci restituiscono l’atmosfera dei tre decenni che chiudono il secolo breve. L’intento non è però nostalgico. Al contrario. Il “senno di poi” ci consente di guardare cosa c’era dietro il “palcoscenico” dei protagonisti della Storia. Quali le reali forze che li spingevano, quali le debolezze che riuscivano a nascondere o le contraddizioni che mimetizzavano dietro una forte personalità e dietro quell’ideologia che riusciva a dare la rotta senza esitazione anche nelle situazioni più personali. Il “personale è politico” si poteva obiettare all’epoca. Oggi, però, il velo dell’ideologia è caduto e Pablo non è più un eroe o un intellettuale engagè ma un semplice giocatore d’azzardo che scommette sulle debolezze altrui.

Oggi abbiamo una gran paura del potere delle fake news dimenticandoci che hanno radici lontane e che anche negli ormai “favolosi” (perché mitici cioè venati di un’epica tutt’altro che giustificata) anni Settanta era pieno di imbonitori che con la scusa dell’impegno e grazie alle astrusità del linguaggio politico del tempo finivano per vendere aria fritta.

È l’ultimo racconto (È stato un soffio), però, che più mi ha colpito. Perché, in fondo, parla del presente e individua alcuni personaggi che sono diventati paradigmatici. Stiamo parlando di chi è uscito dall’ombra di posizioni molto “corrette” per esibire volgarità e disinibite debolezze secondo la propria più intima natura. Ci sono eccessi, oggi. Sicuramente. Ma c’è anche molta più libertà di mostrarsi meno “puri” e meno “virtuosi” di quanto chiedevano i tempi lontani dell’impegno. E anche gli intellettuali, quelli più snob e più raffinati, finiscono per canticchiare (se non visti) canzonette del Ventennio, dopo un bicchiere di troppo.

 

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