Prevenzione è sempre la parola chiave. Occorre sensibilizzare la popolazione sull’importanza del concetto della prevenzione, un’arma fondamentale che non va dimenticata nel cassetto. Così come, invece, succede di frequente a quelle convocazioni che le Asl di pertinenza dei cittadini, allo scopo di garantire equità nell’accesso a una diagnosi precoce, invia per invitarli ai programmi di screening per la prevenzione dei tumori. Il test di screening per il cancro del colon-retto, utilizzato nella quasi totalità dei programmi, è il test del sangue occulto nelle feci. Si tratta di un esame non invasivo che consiste nella raccolta di un campione di feci che sarà poi analizzato per ricercare, appunto, tracce di sangue, non visibile, spesso, dall’occhio nudo. Generalmente, sono gli over 50 e under 70 che, ogni due anni, ricevono il sollecito a presentarsi presso una struttura ospedaliera per sottoporsi al test di ricerca del sangue nelle feci. Ma spesso, queste richieste, non hanno seguito. Come spiega il dottor Stefano Bona di Milano Medica, nonché Responsabile della sezione di Chirurgia Generale e Day Surgery dell’Unità Operativa di Chirurgia Generale e Digestiva di Humanitas, con una lunga esperienza nell’ambito della chirurgia dell’apparato digerente e dell’oncologia chirurgica: “Purtroppo, c’è una scarsa adesione alle procedure messe in atto dalle relative sanità regionali rispetto a questo tipo di screening. Sembra che le persone abbiano paura e che preferiscano evitare di essere intrappolati in labirinti che potrebbero, invece, salvare loro la vita. Di certo, occorre spiegare a tutti che il test per la ricerca del sangue nelle feci è aspecifico: quindi, non esiste l’equivalenza sangue nelle feci-tumore al colon. Quindi, anche se il test risulta positivo, non significa, necessariamente, che si sia sviluppata una neoplasia intestinale. Può essere sangue che derivi anche da emorroidi o anche da ulcere a livello gastrico. Di certo, è un campanello d’allarme e occorre approfondire attraverso la colonoscopia”. Perché non proporre, allora, direttamente la colonoscopia? “Si tratta di un esame che non si può effettuare a tappeto: sarebbe insostenibile dal punto di vista dei costi. Dalla colonoscopia si possono rilevare eventuali lesioni tumorali, ma anche quei polipi benigni dalla degenerazione dei quali, spesso, si origina il tumore al colon retto”. In questi casi, l’indagine non si può fermare alla superficie e deve essere approfondita col proctologo: “In effetti, non ci si ferma mai alla prima espressione e la diagnosi non può essere effettuata sulla base di pochi elementi. Il Sistema Sanitario Nazionale promuove la prevenzione anche per limitare i costi che sarebbero ingenti in caso di cura”. Costa meno prevenire che curare, dunque.

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