L’ERNIA: COME INTERVENIRE.

L’ernia si manifesta quando un organo interno, ma anche una parte del corpo, in genere nel distretto addominale, fuoriesce dalla parete del muscolo o del tessuto che lo contiene. Di certo, tra le più comuni, quella inguino-crurale colpisce soprattutto gli uomini e si forma in zona inguinale, un punto debole che può andare incontro a cedimenti: quando gli organi, generalmente l’intestino o tessuti come quello adiposo dall’interno dell’addome, attraversano queste zone vulnerabili, si manifesta un rigonfiamento, l’ernia appunto. Generalmente causa dolore o fastidio, specie quando ci si sottopone a sforzi come attività sportiva, lunghe camminate o sforzi addominali intensi come tosse, defecazione, ma possono essere anche asintomatiche. Anche se i sintomi diminuiscono quando si è a riposo, la tendenza dell’ernia è quella di un progressivo peggioramento sia nelle dimensioni, sia dei disturbi. Si sente parlare anche di ernia femorale, un tipo che interessa specialmente ledonne: a causa dell’indebolimento dei legamenti ileo-pubici, il tessuto adiposo o una parte dell’intestino sporgono proprio dal pube. Cosa hanno in comune questi due tipi di ernie? Anzitutto, sono causate da una debolezza muscolare e tendinea, dovuta a invecchiamento, ma anche da tensioni ripetute a livello inguinale e addominale. Quando l’ernia non è riducibile dalla manovra del medico che la spinge verso l’interno, la situazione si presenta più critica. In genere, per l’ernia si deve intervenire chirurgicamente. “Per riparare l’ernia inguinale o femorale – spiega il dottor. Stefano Bona di Humanitas, direttore sanitario di Milano Medica – pratico una piccola incisione a livello dell’inguine, in corrispondenza del gonfiore e, una volta separata dalle altre strutture anatomiche che attraversano il canale inguinale, la reintroduco nell’addome, interponendo reti in materiale sintetico, biocompatibili e senza rischio di rigetto. Tutto ciò, al fine di rinforzare la parete muscolare. La novità di questi ultimi anni sta nell’impiego di materiali sempre più sofisticati per realizzare protesi ultraleggere, semi-assorbibili e dotate di elasticità al fine di migliorare il comfort del paziente. Fra le tecniche di fissaggio invece, do preferenza all’uso della colla o di reti “autofissanti” al fine di ridurre il numero di punti di sutura e quindi il dolore postoperatorio. Questa tecnica, eseguita in anestesia locale, non risultando invasiva, consente al paziente di camminare subito dopo l’intervento e la dimissione in giornata”. L’intervento di ernioplastica inguinale può essere eseguito anche con la tecnica laparoscopica che prevede l’utilizzo di tre sottili cannule per introdurre in addome una telecamera e gli strumenti chirurgici. “La laparoscopia, che necessita di un’anestesia generale,  risulta preferibile quando occorre intervenire su ernie inguinali bilaterali o ernie recidive: nel primo caso consente di riparare entrambe le ernie in un’unica operazione, mentre nel caso delle recidive, ad esempio dopo plastica per via anteriore, il vantaggio è rappresentato dalla possibilità di riparare in modo semplice e rapido attraverso tessuti non ancora intaccati. Anche in questo caso, con un protocollo anestesiologico dedicato, l’intervento può essere programmato in Day Hospital. Certo, la scelta della tecnica chirurgica e del tipo di anestesia più opportuno, dipende molto anche dalle caratteristiche del paziente, dalla sua età, dal suo stato complessivo di salute e dal suo atteggiamento psicologico”. Capita di frequente che gli sportivi, soprattutto coloro che praticano calcio, rugby, hokey etc, soffrano di “groin pain” o “Sport Hernia”, comunemente definita pubalgia. In questo caso, raramente si riscontra una vera e propria ernia: la debolezza o lacerazione a livello delle strutture vicine a causa di sovraccarico, provoca un’instabilità del bacino. “Nel caso di pubalgia, la terapia inizialmente è sempre di tipo conservativo con riposo, farmaci anti-infiammatori, fisioterapia (esercizi di stretching e di rinforzo muscolare) e terapie fisiche per almeno 3 mesi. Se la sintomatologia persiste alla ripresa dell’attività sportiva deve essere preso in considerazione il trattamento chirurgico” conclude il dott. Bona.

 

 

 

 

 

 

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