Gli uni contro gli altri armati. Come Guelfi e Ghibellini, interisti e milanisti, come quelli che il caffe’ e’ solo l’espresso del bar e quelli che invece guai a toccargli la Moka. Due popoli, due fazioni, due filosofie. Quelli che corrono sempre, comunque è appena possono e quelli che invece non vedono l’ora non far nulla, oziare, riposare. È la solita disputa infinita tra chi fa sport e chi invece non ne vuole neppure sentir parlare. Tra il fare e il non fare o fare altro. Due mondi paralleli che però ogni tanto convergono come andava di moda dire tanti anni fa nei dibattiti politici. È allora sono scintille, accuse, confronti che non portano a nulla, che non spostano di un millimetro posizioni e convinzioni. Ognuno resta nella propria trincea, anzi se possibile, scava ancora un po’ di più. Così chi corre, nuota, pedala, insomma chi fa sport, si accalora snocciolando statistiche, racconti, esempi di quanto la pratica sportiva faccia bene al cuore, alla mente, al colesterolo. Di quanto sia quadrifarmaco di lunga vita, elisir di giovinezza, medicina per battere e combattere gli acciacchi dell’età. È così non molla. Anzi. Insiste, persevera, si fissa. È si compiace. Si perché chi si ammazza di fatica, i maratoneti, i ciclisti, i triathleti e tutti quelli che “l’Ironman e’ dentro di noi” un po’ godono a raccontare le loro imprese. Proprio come pescatori e cacciatori. Ma finche’ esagerano nel recinto della loro tribù finisce li, al massimo qualcuno si da’ di gomito. Ma quando incrociano le lame con la parte oziosa del mondo iniziano i guai. Comincia il rimpiattino dello strano ma vero. Di quelle storie successe chissà quando, chissà dove è chissà a chi che nessuno potrai mai verificare ma diventano la parabola che fa al caso tuo. Come quella di quell’amico americano che da quando aveva 12 anni fumava 50 sigarette al giorno ed è campato senza problemi fino a 100′. O come quella di quell’altro tizio della Louisiana che non ha mai fatto un passo di corsa, che faceva colazione con whisky, salamelle, patatine fritte e maionese e, pure lui, ha tenuto duro per oltre un secolo. È ovviamente come quella di quel manager del Wisconsin che si allenava tutti i giorni, non beveva, non fumava, mangiava solo soia e verdure e a 33 anni ha salutato tutti perché stroncato da un coccolone. Ma di storie cosi’ ne sono successe anche in Texas, in Tennessee, in California, in Alaska, in Cina, Russia, Indonesia e Rhuanda. Insomma, ovunque. È una guerra di posizione. Fiumi di inchiostro, pagine di giornali e oggi, cioè da quando il mondo non discute piu’ ma si interfaccia, migliaia di mail, tweet, messaggi su forum e social network. Ci sono quelli che gufano e quelli che fanno gli scongiuri. Non si tollerano e non se le mandano a dire. Così capita che mentre stai correndo una maratona trovi qualcuno che ti applaude, qualcun altro che ti guarda perplesso e si chiede chi te lo fa fare e qualcun altro ancora che scende infuriato dalla sua auto bloccata ad un incrocio e, paonazzo in viso, ti urla di andare a lavorare. Questa e’ la frangia dura dell’altra parte del mondo che non fa sport, che non fa sconti, che non ne vuol sapere, che non discute, non capisce e non si adegua. Non solo gufa, ma si incazza. A volte troppo. E così succede che mentre stai faticando al trentaduesimo chilometro di una maratona, mentre stai cercando di pensare quanto siano noiosi e infiniti i viali di una circonvallazione di una città, improvvisamente una signora scarmigliata, con gli occhi spiritati e ancora in vestaglia spalanchi le gelosie del suo signorile appartamento al secondo piano, ti scaraventi addosso un cartone di uova fresche urlando una serie di insulti che neanche un camallo. Con tutto il rispetto per i camalli. Che sicuramente avrebbero applaudito.