Non sono stato un tifoso di Marco Pantani. Ciò non toglie che è stato un grande, forse tra i più grandi. Per lui parlano le sue vittorie ma soprattutto il suo modo di vincere: unico. E oggi, a dieci anni dalla sua fine triste in quel residence di Rimini non c’è radio, televisione , giornale che giustamente non ne ricordi le gesta. Il Pirata è stato un campione vero perchè capace di coinquistare la gente. Forte, spontaneo, allergico ad ogni calcolo e forse proprio per questo ha vinto meno di ciò che meritava. Ma ci sono atleti che anche se alzano meno trofei di altri hanno la strada della storia spianata. E Pantani fu uno di questi. Ma il Pirata, al di là della melassa delle celebrazioni di qeusti giorni , è stato parte e protagonista di un ciclismo dove il doping c’era e non si può far finta che non fosse così. Un ciclismo “malato” dove le regole erano quelle che sono state svelate poi dalle inchieste e dalle confessioni più o meno eccellenti alle quali più o meno tutti si adeguavano. Ma ciò non cambia una virgola sulla grandezza di quei campioni e sulle loro vittorie. In quel periodo, dove l’asticella si era alzata per tutti, il Pirata restava il più forte. E così sarebbe stato in un ciclismo normale. Ciò va detto per amore della verita e ciò vale per il suo grande rivale Lance Armstrong. Nonostante il doping i campioni restano campioni e i brocchi, brocchi. E poi una considerazione per chiudere questo discorso e che mi sta a cuore. Ho seguito da vicino la vicenda di Alex Schwazer che per alcune sfumature un po’ mi ricorda quella di Marco Pantani. Lui, che pure ha vinto un’olimpiade in una delle discipline più dure e affascinanti dell’atletica, per giornalisti, dirigenti federali, tifosi e per tutt i quegli amici che ci hanno messo un amen a scaricarlo ora è solo un baro impostore. Niente sconti. Forse, in tutti i casi, servirebbe un po’ di equilibrio in più.

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