veeLo sport sa raccontare storie incredibili. Drammatiche e incredibili. E proprio nei in  cui giorni sembrano diventare storie drammatiche quelle legate al doping, storie finali, senza uscita, senza pensare che in quelle storie poi uno ci si infila perchè vuole, perchè sceglie, perchè in fondo insegue la sua vanità e la sua  vanagloria, poi ce ne sono altre che sono drammatiche per davvero. Perchè così ha deciso la vita o il destino, perchè poi uno prova poi a cambiare ciò che da qualche parte sta scritto ma non è come decidere di buttar via uno fialetta o una scatoletta di medicinali. Storie che non scatenano i dibattiti, che non finiscono sui social che però raccontano che la forza degli atleti non solo è nei muscoli, nel resistere alla fatica, nei record o nei dati di un computer. Raccontano che è nella testa e nel cuore. Che lo sport è una medicina incredibile per vivere. Fino alla fine, fino all’ultimo secondo, assaporando tutto ciò che l’esistenza sa regalare. Che lo sport è un inno alla vita anche per chi quella vita se la vede sfuggire dalle dita, giorno do po giorno. Anche per chi sente che sta per arrivare la fine: “Nonostante la mia condizione, sono stata in grado di provare cose che altri possono solo sognare…” ha semppre ripetuto Marieke Vervoort, atleta di punta della nazionale paralimpica del Belgio, che da tempo vive su una carrozzina, inchiodata da una malattia degenerativa. Alle ultime olimpiadi di Londra ha vinto un oro e un argento nella velocità, nei 100 e nei 200 metri piani. Ma la sua storia non la fanno le medaglie. La sua storia la fa lei che in Belgio, dove tutti la conoscono come “Wielemie” che è il nome del suo sito seguitissimo sito internet, è una donna famosa soprattutto dopo che quattro anni fa le è stato consegnato il titolo di Grande Ufficiale dell’Ordine della Corona per aver innalzato con la sua idea di sport lo spirito del suo Pease. Da Londra a Rio, quattro anni in più. Quattro anni per conquistarsi un altro sogno olimpico ma soprattutto a lottare contro un malattia che prima le ha tolto il triathlon, sport della sua vita, e ora le sta togliendo la speranza. La velocista 37enne, sa che quella brasiliana sarà la sua ultima Paralimpiade. Non perchè abbia deciso di smettere, non perchè si sentea vecchia o perchè non abbia più voglia di allenarsi e far fatica. Sarà l’ultima per la gioia dello sport sta lentamente lasciando il posto al dolore di una malattia implacabile. Così La Vervoort ha scioccato tutti, giocando d’anticipo come spesso sanno fare i campioni. Annunciando ai media del suo Paese che dopo Rio sta seriamente pensando all’eutanasia che in Belgio è legale. Una scelta drammatica, una scelta che le permetterà in qualche modo di chiudere i conti con il suo corpo quando non le permetterà più di fare vita d’atleta. La sua vita. «Tutti mi vedono sorridere quando vinco una medaglia- ha raccontato in un’intervista a Le Parisen- ma nessuno mi vede quando sono scura in volto. Mi alleno duramente ma ogni giorno devo lottare con una malattia che mi permette di fare sempre meno e la cosa più difficile è accettare ciò che non riesco più a fare… A Rio lotterò per conquistare un oro poi vedremo quello che mi porterà la vita: proverò a godermi i momenti migliori». Una storia infinita quella di questa atleta belga che tra qualche mese potrebbe veder scorrere i titoli di coda in una decisione tanto grande. I primi segni della malattia arrivano vent’anni fa quando i primi disturbi vengono confermati da alcuni esami che rivelano senza pietà quale sarà il suo destino. Una malattia degenerativa che non ha cura e che comincia piano piano a consumarla. Cambiano gli orizzonti e le prospettive ma non la passione dello sport. Così dal triathlon la Vervoort si avvicina agli sport paralimpici e alla velocità in carrozzina. Diventano la sua speranza. La sua nuova sfida, una sfida olimpica che l’ha vista trionfare a Londra quattro anni fa e che tra un mese e mezzo continuerà in Brasile con i Giochi paralimpici. Dopo non si sa. «Dopo c’è un buco nero…» ha detto l’atleta belga che intanto però ha già fatto sapere che prima di salutare tutti l’ultima cosa che farà sarà un il volo acrobatico con un aeroplano. Poi penserà a preparare la sua morte, consulterà i medici e se le daranno parere favorevole all’eutanasia, la decisione sarà presa. «E il giorno del mio funerale, voglio che tutti abbiano un calice di champagne in mano…”