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“Roi” Peter. Come Bernard che pedalava o come Michel che prendeva a calci un pallone. Altro sport ma stessa “pasta”. Dopo un 2016 da incorniciare i francesi mettono la corona sulla testa di Peter Sagan, campione nella leggenda, eroe di una storia che è ancora tutta da raccontare. Sagan le “roi” come lo racconta in un fantastico servizio FranceTv. Sagan “figlio” di Eddy Merckx. Sagan il re Mida che trasforma in oro ogni pedalata, Giri, Tour, gare e campionati. Che porta titoli e telecamere anche su in sella a una mountainbike, che non sa cosa sia il protocollo, che è uno dei pochi (e non solo nel ciclismo) capace sempre di inventarsi qualcosa, che è un ventata di freschezza in un mondo di diete, computer, watt e gente che vive a ruota. Sagan eroe francese di una rivoluzione a pedali che è solo cominciata, che passa dalle sue gambe, dai suo muscoli e dalla sua testa. Che ha l’aria irriverente e i capelli lunghi di chi si diverte, di chi e allergico agli schemi, di chi sa inventare e forse sognare. Una rivoluzione  annunciata due anni fa a Richmond in Virginia e continuata quest’anno a Doha. Una rivoluzione proprio come piace ai francesi che però  questa volta porta al potere la fantasia…

 

RICHMOND 27, settembre 2015. Scrivi Peter su Google e il terzo nome della lista è quello di Peter Sagan. E un motivo ci sarà.  Fenomeno, fuoriclasse, personaggio o  campione. Chiamatelo come volete ma dalle 15.24 del 27 settembre ora di Richmond in Virginia, il ragazzo di Zilina è il nuovo messia del ciclismo mondiale.  Non è il campionato del mondo che incorona Peter Sagan, casomai il contrario. Perché il  mondiale non è la Milano-Sanremo, la Parigi-Roubaix o il Fiandre. Non vive di luce propria. Ci sono maglie iridate che, senza far nomi, sono finite sulle spalle di illustri sconosciuti che le hanno portate in giro per il mondo nel più completo anonimato.  Ci sono campioni del mondo che nessuno più neanche sospetta e neanche immagina. Sagan invece ce lo ricorderemo tutti. Ci ricorderemo quel suo scatto sul pavè  e quegli ultimi due chilometri e mezzo verso la gloria allo stesso modo della “fucilata” di Beppe Saronni a Goodwood. Consegnate alla storia, per sempre. Come Dino Zoff che alza la coppa del mondo a Madrid, come Stefano Baldini che entra nel Panatinaikò di Atene. C’è da scommetterci. Ma è solo l’inizio una storia importante. Un po’ già scritta, perché 75 vittorie in sei anni da professionista sono un biglietto da visita di tutto rispetto. E molto da scrivere perché questo fenomeno che vince le corse senza squadra di podi ne salirà ancora parecchi. Sagan è la rivoluzione di cui il ciclismo moderno appiattito da tattiche e doping aveva bisogno. E’ l’incoscienza e il coraggio, è la miscela esplosiva dell’estro, è la classe che comunque fa sempre la differenza. In bici ma anche quando non pedala. E’ il personaggio che fa la gioia di tifosi e giornalisti. Che prende a insulti un cameraman della Vuelta che per filmarlo rischia di farlo atterrare sull’asfalto, che pizzica il sedere di una miss sul podio e fa imbufalire Fabian  Cancellara, che poi  le manda un mazzo di fiori per scusarsi. Alla miss. Peter Sagan è quello che dopo la vittoria del mondiale che lo consacra stella di primaria importanza in un mondo che è sport ma anche contratti, sponsor, marketing e soldoni,  se ne frega di tutto e di tutti se ne va con quattro amici al pub a festeggiare con un birra. Peter Sagan sono 5 milioni di contatti sul web, 700 like al giorno, 335mila contatti su twitter e un centinaio di autografi al giorno. Peter Sagan è una pepita d’oro. Peter Sagan è la più grande fortuna che al ciclismo di oggi potesse capitare.