Quest’anno, per la prima volta, non correrò la maratona di Milano. E, se in edicola ci fosse ancora ” Cuore”, la cosa finirebbe dritta dritta nel “Chi se ne frega”.  Peccato però perchè le avevo fatte tutte. Ma proprio questa volta non si può.  Sarà un caso, sarà un infortunio, sarà l’eta o  sarà che il 17  porta un po’ di sfiga ma questo giro tocca “marcar visita”, come si diceva una volta nelle infermerie degli ospedali militari.  E viene un po’ di malinconia a guardarsi indietro. Perchè c’ero la prima volta in piazza Duomo sotto la pioggia a pochi metri da Lucilla Andreucci che poi avrebbe vinto tra le donne. C’ero l’anno dopo e quello dopo ancora a prendermi gli insulti del popolo intruppato in auto sui viali dell circonvallazioni. C’ero con i blocchi del traffico promessi e mai realizzati dal sindaco Albertini,  dalla Moratti, da Pisapia e ora da Sala. C’ero anche l’anno in cui il  blocco delle auto finalmente arrivò, ma la domenica prima della gara per troppo smog col risultato di far infuriare tutti ancor di più. C’ero anche nel 2014, quando la domenica ecologica ci fu davvero e fu una festa. C’ero al via in piazza Castello, al via da Rho Fiera al via da Porta Venezia. C’ero quando il percorso cambiava ogni anno. Quando si correva a dicembre con la nebbia e con il ghiaccio e c’ero quando si è cominciato a  correre in primavera con il caldo non sempre primaverile. C’ero quando nelle vie della città dove sarebbe passata la maratona apparve, da un giorno all’altro, una  linea rosa che indicava il percorso più breve e che finì sulle pagine di cronaca dei giornali come un caso, perchè nessuno sapeva cosa fosse. C’ero quando un tecnico inglese con tanto di rotella e chiodini piantati sull’asfalto misuro e certificò il primo percorso in una notte d’autunno. C’ero quando la maglia del pacco gara era quella rosa inguardabile dell’edizione numero cinque e c’ero quando invece la maglie erano quelle meravigliose blu e arancioni pesanti che ancora oggi si vedono in giro sulle spalle di tanti coraggiosi corridori invernali. C’ero  quando al fianco dei maratoneti hanno cominciato a sfilare gli staffettisti. Sempre di più, ora una moda che ha contagiato tutte le maratone del mondo. C’ero quando a sorpassarmi, nella sua ultima frazione, fu Paolo Savoldelli, il “falco”, uno dei miei miti ciclistici. C’ero quando in Viale Papiniano, nell’ultima zona cambio, si correva tra due ali di folla che si aprivano al passaggio  come sull’arrivo del Mont Ventoux. C’ero quando, nel 2006 Benson Cherono in 2 ore e 7 minuti ha firmato il record della gara. C’ero ma ovviamente ero molto più indietro. C’ero quando qualche anno fa la maratona ha cominciato a cambiar faccia, a far innamorare i milanesi, a coinvolgere la città a diventare l’evento che è diventato. C’ero tre anni fa in un bel tratto di strada, di fatica e di chiacchiere con  Fabrizio Cosi che a questa maratona ha dato più di quanto si possa pensare, una piccola (grande) eredità che speriamo venga conservata. C’era quando Andrea Trabuio mi spiegò che il suo sogno era quello di fare come negli Usa, cioè legare la corsa alle charity che oggi sono diventate una realtà che  fa la differenza e soprattutto raccoglie un sacco di euro per le cause più giuste. C’ero quando sono nati i miei figli: nel 2001, nel 2003 e nel 2005. E sono stati gli anni in cui sono andato più veloce. Sarà forse un caso anche questo. C’ero  quando Gabriele Rosa, dopo aver vinto e rivinto con i suoi atleti keniani, fece correre alcuni ragazzi del carcere Beccaria. C’ero quando la maratona è stata raccontata in diretta dalla reti Rai, quando l’hanno data in differita, quando a trasmetterla sono stati i microfoni di La7 e poi quando è toccato a Fox sports. C’ero alle conferenze stampa di Palazzo Marino, a quelle in Regione, negli hotel con i campioni il giorno prima della gara. Insomma c’ero sempre, Quest’anno no. E la maratona di Milano già mi manca. Caspita se mi manca,…