Guardi Napoli, guardi Buenos Aires,  guardi il milione di persone che stanno sfilando alla Casa Rosada per salutarlo, ti guardi intorno in giro per il mondo e capisci che il resto non conta nulla. Diego Armando Maradona è per sempre. Le sue giocate, i suoi gol, la sua Napoli assurda e angosciata,  Fidel, il tatuaggio del Che, l’alcol, la cocaina, i suoi figli dimenticati e poi ritrovati, i demoni che si portava dentro, il suo folle tentativo di dribblare anche la vita tant’è che sembrava immortale. Non ci si può neanche provare a distinguere. L’uomo, l’atleta, ciò che ha fatto in campo e ciò che ha fatto nella vita: che senso ha distinguere? Diego Armando Maradona è uno solo ed è ciò che di lui resterà. Un “Dio sporco”,  vicinissimo al popolo e consegnato alla storia dal popolo,  dal suo popolo. Un artista inarrivabile che come ha scritto Vittorio Sgarbi vale  Caravaggio di cui non si può giudicare una vita che è già leggenda e quindi va al di là del Bene e del Male Ciò che resta di Maradona è ciò che si vede in queste ore, un omaggio infinito e spontaneo della gente che grazie a lui ha trovato gioia, riscatto e dignità, che l’ha sempre sentito dalla sua parte senza moralismi e senza giudicare la sua vita, i suoi errori, la sua dannazione. Un omaggio commosso e straziante che va al di là  degli scudetti di cui ancora restano i segni nei Quartieri spagnoli di Napoli o di quel gol di mano che vendicò gli inglesi che facevano gli arroganti alle Malvinas. Di Diego resteranno  il sorriso da scugnizzo, la sua irriverenza e la sua maledetta voglia di vivere. Rimarrà lo sguardo fiero e sprezzante rivolto a chi nel ’90 all’Olimpico osò a fischiare l’inno argentino prima della sfida che vedeva l’Albicelste opposta ai tedeschi. Adios “Hijo de puta…”