Il 9 agosto prossimo spegnerà 50 candeline ma Davide Rebellin non ha alcuna intenzione di appendere la bici al chiodo. Il corridore veneto, infatti, tornerà a mettersi in gioco con una formazione continental italiana: al Trofeo Laigueglia del prossimo 3 marzo debutterà con la casacca della Work Service Marchiol Vega. Si tratta di un ritorno «a casa» ricco di motivazioni e di stimoli per Rebellin che continuerà a pedalare in gruppo per essere un punto di riferimento per i giovani del team presieduto da Demetrio Iommi. «Per noi è un onore poter avere all’interno del nostro team un grande campione come Davide Rebellin – annuncia il patron Massimo Levorato – Lui è un esempio di impegno e abnegazione per tutti gli sportivi, una vera e propria fonte di ispirazione per tante giovani promesse che crescono tra le fila del nostro team». «È bello poter pedalare con dei nuovi obiettivi e con il supporto di dirigenti che mi hanno fatto sentire la loro vicinanza e la loro fiducia – le parole invece di Rebellin – Per me il ciclismo rappresenta molto di più di un lavoro e di una passione: mi rivedo nei miei giovani compagni di squadra, nelle loro aspirazioni e nei loro progetti».  Una sfida che pare non finire mai e che,a nni fa, rischio malamente di giungere al capolinea, un calvario che aveva visto il corridore veneto accusato di doping in una vicenda dove poi arrivò una sentenza a scagionarlo. Indimenticabile la sua lettera dopo l’assoluzione: «Il 30 aprile 2015, dopo sette anni di processo interminabile, la sentenza del tribunale mi è stata favorevole con l’assoluzione piena dall’accusa di doping ai Giochi Olimpici 2008 e di evasione fiscale- scriveva Rebelllin–  È stata una lunga battaglia, più estenuante di qualsiasi corsa, ma è la vittoria più giusta e più importante della mia carriera… Non voglio rifare il processo (la giusta sentenza finale è la cosa più importante), ma vorrei solo dire che non ho mai avuto risposte e spiegazioni nonostante le numerose procedure dei controlli non rispettate, come per esempio campioni di sangue spariti, andati tra le mani di…non sappiamo chi. Ho subito ingiustamente una squalifica di due anni, ma è come se fosse stata di sette: al mio rientro nel 2011 ho avuto tante porte chiuse da parte di alcuni organizzatori, manager e media, perdendo più energia nel cercare di poter fare il mio lavoro in modo giusto e dignitoso che nel fare pesanti allenamenti e pochissime gare. Sarebbe stato più semplice arrendersi…. Sono stati sette anni di calvario con la paura che tutto andasse in prescrizione, quando invece per me era importante che la sentenza arrivasse prima per avere l’assoluzione piena. Finalmente la giusta sentenza è arrivata. Ma chi mi ridà quello che mi è stato tolto? Corse a me tanto care come le grandi classiche dove mi è stata negata la possibilità di partecipare, visibilità, possibilità di essere in grandi squadre, la medaglia Olimpica, la serenità personale e familiare. Chi riparerà la tristezza di mia moglie che mi ha conosciuto e amato nel periodo più difficile della mia vita e ha dovuto subire anche lei questa situazione ingiusta vedendo considerato suo marito alla stregua di un criminale, quando invece criminale era questo accanimento nei miei confronti senza mai voler ascoltare la mia verità?”. Lo sfogo continuava  Ma può anche bastare così. Perché e più che sufficiente a capire che doping, sospetti di doping, ingiustizie, riscatti, assoluzioni piene, assoluzioni parziali, seconde chanche e nuove possibilità non sono mai uguali per tutti. Funziona così.