Gare, protocolli, distanziamenti, mascherine, divieti e precauzioni. Dall’atletica al calcio, dal ciclismo al nuoto al triathlon è solo un fatto di numeri.  E quando gli atleti in gara cominciano ad essere troppe centinaia i protocolli valgono ciò che valgono. Cioè nulla. Anche perchè non esistono sanzioni sportive per chi non li rispetta e le sanzioni amministrative  nel contesto di una competizione, sono davvero impossibili da applicare.  Così vale la pena di interrogarsi  in questo momento di pandemia, che secondo le previsioni del Cts dovrebbe raggiungere il nuovo picco dei 40mila contagi quotidiani tra due settimane,  se sia il caso di continuare l’attività agonistica aprendola agli atleti amatoriali o se limitarla ai soli elite e ai settori giovanili delle Federazioni per competizioni di carattere nazionale  e internazionale. E’ il dilemma su cui stanno discutendo politica e comunità scientifica e che assume una valenza ancora più importante  alla luce di una rinnovata emergenza, delle tante attività lavorative chiuse e del ritorno alla didattica a distanza per oltre sei milioni di ragazzi.  Il punto è tutto qui. Lo sport professionistico è giusto che, seppur  tra mille difficoltà, continui a non fermarsi e a gareggiare e la stessa cosa vale per i tanti giovani atleti che sono il serbatoio di un movimento che purtroppo si sta drammaticamente svuotando. Ma gli amatori?  In un momento come questo è proprio necessario che facciano gare o sarebbe più giusto prendersi un pausa in attesa di tempi migliori, magari già in estate. Si può fare sport anche senza un pettorale, si può pedalare  e correre ovunque. Certo, non è la stessa cosa ma basta guardarsi intorno per capire che le priorità in questo momento sono altre.