La chiesa torna al centro del paese ed è un messaggio per chiunque si sia messo in testa che il ciclismo,  lo sport in genere, sia solo business e terra di conquista per sponsor e fondi di investimento.  Il mondiale di ciclismo lo vince un immenso Julian Alaphilippe ma  chiunque avesse vinto oggi sul traguardo di Lovanio in Belgio  dopo 42 muri e 280 chilometri di puro spettacolo  sarebbe stata la stessa cosa. Ha vinto il ciclismo. Ha vinto lo sport che ha un senso solo se si rispettano campioni,  luoghi e tradizioni. Conta sì il denaro ma a fronte del mondiale di ciclismo più anonimo della storia corso cinque anni fa a Doha in Quatar tra strade ricoperte di dollari ma comunque deserte, oggi  qui in Belgio il ciclismo è tornato finalmente a casa. E nelle Fiandre è tornato nel salotto più prestigioso di casa. Quello vinto dal francese che bissa il mondiale dello scorso anno a Imola è uno dei mondiali più belli mai corsi nell’epoca recente. Uno spettacolo puro, onorato da  Evenepoel, da Van Aert dai nostrri Colbrelli, Ulissi, Trentin  ma esaltante proprio perchè corso qui, su queste strade che profumano di storia,  tra migliaia e migliaia di spettatori assiepati sulle transenne, con un Paese che si ferma per un Natale laico che regala tifo e applausi a tutti nel rispetto di uno sport che qui è religione. Se lo mettano bene in testa i nuovi padroni del  vapore. Lo sport è diventato un grande affare e di questo vivrà negli anni a venire ma va rispettato nella sua origine, nei suoi piccoli riti, nella sua essenza. Sponsor e denari dettano legge ma alla fine la differenza continueranno a farla l’amore e la  passione di chi il ciclismo, ma anche il calcio, il basket, il tennis crede ancora che abbiano luoghi sacri e bandiere.  E le Fiandre per chi va in bici sono un luogo sacro. Sono  un Paese che pedala, che sta sui bordi delle strade ad applaudire, sono birra e panini  aspettando la corsa, sono il pavè che non è un fastidio da asfaltare.  Sono i paesini che vivono addormentati tra le campagne, tra case e cascine che sembrano un dipinto fiammingo, sono i cieli bassi,  gli sterrati infiniti nei boschi e la brezza del mare del Nord.  Qui più che altrove quando si pedala  ognuno per sè e Dio per tutti. Non è il ciclismo eroico perchè  “nell’inferno del Nord” la retorica è gratis e nessuno la vuole più. E’ il ciclismo e basta. E’ anche un mondiale che altrove rischia di essere una corsa qualunque,  e qui diventa la più dolce restaurazione possibile che rimette tutte le cose al loro posto…