Filippo Ganna Correrà la crono alla caccia della sua terza maglia iridata.  Alberto Bettiol, Matteo Trentin, Davide Ballerini, Vincenzo Albanese, Andrea Bagioli,  Samuele Battistella, Nicola Conci,  Alessandro Covi, Giacomo Nizzolo, Stefano Oldani,  Andrea Pasqualon, Lorenzo Rota e Filippo Zana proveranno a giocarsi  quella del mondiale su strada che domenica 25 settembre si correrà in Australia a Wollongong. Tredici convocati dal Ct azzurro Daniele Bennati che lunedì diventeranno  dieci: otto titolari e due riserve.  La formazione è stata annunciata sul palco del Jova Beach a Bresso, dove Bennati è stato chiamato dal suo amico di pedalate  “Jovanotti”: “Aspettiamo le ultime gare in Canada e le tappe della Vuelta per fare le ultime considerazioni- gli ha detto Bennati- poi sveleremo 10 atleti convocati ufficialmente. La nostra formazione prevede Alberto Bettiol un gradino sopra gli altri. Poco sotto Ballerini e Trentin che faranno un ultimo test al Giro del Lussemburgo“.  Squadra praticamente “cotta e servita” sul palco ai millemila fans del nuovo “guru” del pop nostrano, maglie azzurre che diventano  un ingrediente dello show e finiscono nel grande frullatore musical-ambientalista di un grande Tour che però con il ciclismo non ha nulla d spartire. Vale tutto ormai e  va bene così. Ma nello sport una maglia resta una maglia, ancor più se azzurra: vale per il calcio,  per il rugby e  vale anche per la nazionale italiana di ciclismo. E allora forse  l’annuncio di una nazionale che va a disputare un mondiale meritava una scena più austera o quantomeno una platea più attenta e interessata per non dire più competente visto che oggi la competenza è un orpello che vale uno o forse zero… Sarà che il ciclismo sta cambiando, sarà che ormai è tutto un grande spettacolo, sarà che c’erano una volta presentazioni, conferenze stampa, note federali ed ora non ci sono quasi più, ma un mondiale resta un mondiale anche se abbiamo poche, forse nessuna, possibilità di portarlo a casa. La “Festa non è qui…” con buona pace di chi dirà che forse siamo troppo “antichi”.