Sante Gaiardoni era un pistard. Chiudi gli occhi, pensi a ciò che fu il Vigorelli, e lo vedi lì gomito a gomito, ovviamente a sprintare con Maspes.  Chiudi gli occhi e pensi a un mondo che non c’è più,  con le “sciure” in pelliccia e gli “sciuri” in paltò che lì andavano a passare la serata. Pensi alla Campionaria, al Dopoguerra, alla rinascita economica, ai tubolari dei campioni che  hanno scritto la storia.  Pensi alle moto, agli stayer, all’americana, all’inseguimento. Pensi a tutto questo e scorrono immagini in bianco e nero, eroiche, eleganti e un po’ malinconiche. Sono gli scatti di un mondo in pista che era quello di Antonio Maspes, che se n’è andato più di una ventina di anni fa, e di Sante Giardoni che l’ha raggiunto ieri.  Maspes e Gaiardoni, una vita  a colpi di reni come Coppi e Bartali ma sulle assi dei velodromi a giocarsi vittorie, titoli e mondiali. Antonio e Sante rivali,  ruota a ruota, fianco a fianco, serata dopo serata fino a diventare amici.  Sante Gaiardoni si è spento a 84 anni a Motta Visconti in provincia di Milano dove si era trasferito per stare vicino alla figlia.  Era nato nel giugno del ’39 a Villafranca di Verona ma era un milanese di adozione perchè a Milano viveva da sempre, al Giambellino aveva aperto un  suo negozio di bici e  nel 2006 si candidò sindaco nelle elezioni poi vinte da Letizia Moratti: nel suo programma, la bici al centro, sprint vincete già allora vent’anni prima di tutti, per passione e per amore più che per calcolo o propaganda . La bici era il  suo mondo, la pista ancora di più e lì scrisse la sua grande storia.  Da “pistard” che aveva cominciato la carriera nel tandem, conquistando il titolo italiano nel 1957 e nel 1958, arrivando alla consacrazione e alla fama nei Giochi olimpici di Roma  nel 1960, unico azzurro a vincere due medaglie d’oro: il 26 agosto nel chilometro da fermo e tre giorni dopo, in uno storico bis, nella velocità. Una giornata di gloria, quel 29 agosto che cominciò con le congratulazioni di Amintore Fanfani, leader della Democrazia Cristiana di allora e  si concluse  in via Veneto, confuso tra la folla, con Maurizio Arena e Walter Chiari, poveri ma belli e comunque vincenti. Anni andati di una dolce vita che lo portò alle nozze (e su tutti i rotocalchi) nel 1963 con la cantante Elsa Quarta e l’anno dopo a diventare professionista, imponendosi, dopo averlo fatto da dilettante, anche nella rassegna iridata di Rocourt 1963, al termine di una sfida accesa ovviamente con Maspes con cui si contese i successi di una carriera che vide anche due mondiali di velocità, due europei, un titolo italiano e si concluse dopo la medaglia d’argento ai Mondiali di Leicester nel 1970. Fu la stagione dei velodromi,  gli anni d’oro di un ciclismo che si ritrovava in pista dal Vigorelli  all’Eur di Roma fino alle grandi arene in Francia, Germania e Belgio. Furono gli anni delle grandi Sei Giorni, delle grandi  kermesse,  dei campioni che giravano in tondo giocandosela all’ultimo sprint, delle cene al centro della pista  tra orchestrine, starlette, combine  e scommettitori. Una pista spesso azzurra, di uomini veloci, di destini incrociati, di amicizie vere e profonde come quella con Marino Vigna, due anni insieme alla Azzini e poi alla Filco: “Ci siamo sentiti sempre e ci siamo visti spesso- racconta a Sport 24H-  E ogni volta con lui era un piacere: viveva bene solo in compagnia e l’amicizia, la nostra, è proseguita anche dopo le corse. Sì, c’’era una grande differenza fra lui e Maspes. Maspes era classe pura e con il surplace a volte demoliva gli avversari. Sante era potenza, non approfittava mai del surplace, preferiva la volata lunga e su quella era quasi imbattibile…”. Chiudi gli occhi, vedi un Vigorelli in bianco e nero e loro sono ancora lì: gomito a gomito, per sempre.