“Predestinato” si dice nello sport quando si racconta un campione . Ed ora, per chi crede che ci sia un destino già scritto per ognuno di noi, che non esistano “sliding doors”, che poco o nulla si possa determinare e che le scelte della vita siano in realtà solo un’illusione,  la morte di Kelvin Kiptum fa venire i brividi e non solo perchè può sembrare assurdo morire  a 24 anni. Aveva fissato l’appuntamento con la storia il prossimo 14 aprile a Rotterdam per provare a correre la maratona sotto il limite delle due ore ma la sua già straordinaria avventura terrena si è interrotta prima, la notte scorsa  su una strada di Eldoret, nell’Ovest del Kenia,  dove con la sua auto è finita prima contro un albero e poi in una scarpata di una sessantina di metri. Non c’è stato nulla da fare. Nello schianto è deceduto anche il suo allenatore Gervais Hakizimana che lo seguiva da quando aveva 14 anni.  Kiptum era la nuova frontiera della maratona mondiale, non una chimera, non una delle tante “gazzelle” degli altopiani che durano lo spazio di qualche stagione e poi svaniscono trasformandosi malinconicamente in “lepri”. Era uno di quei pochi destinati a lasciare un segno, probabilmente già a giugno nei Giochi di Parigi.  La sua è una storia breve. Due anni fa si presenta a Valencia con il miglior debutto di sempre (2h01’53”) e la terza prestazione di tutti i tempi, dopo Kenenisa Bekele  e Eliud Kipchoge: due giganti.  Si capisce subito che sarà una stella dalla lucentezza abbagliante e infatti la sua è un’ascesa repentina. Corre altre due maratone e le vince entrambe: nell’aprile dello scorso anno a Londra in 2h1’27” e  ad ottobre a Chicago. Qui però arriva al traguardo in 2 ore e 35 secondi, nuovo primato mondiale strappato al sua compagno di nazionale, sua maestà Kipchoge, il miglior maratoneta della storia. Ed è già il tempo della consacrazione.  Due mesi fa a Monte Carlo viene infatti votato miglior atleta mondiale del 2023 insieme al velocista statunitense Noah Lyles e all’astista svedese  Armand “Mondo” Duplantis, da una giuria della Federazione internazionale di atletica che di fatto lo incorona tra i grandi di sempre. Forse anche da lì ( anche da lì) nasce l’idea, il progetto, il sogno di provare a sgretolare il muro delle due ore in maratona, la madre di tutte le sfide. Ma a Rotterdam, il 14 Aprile, Kiptum non ci sarà, non era quello il suo cammino.  Si muore nello sport così come si muore attraversando una strada, facendo un giro in moto la domenica o pedalando in una città. E’ il rischio che c’è in ogni cosa che facciamo, forse è la fatalità, sicuramente è il destino. Solo che quando capita ad un giovane di 24 anni, ad un atleta, ad un campione la morte sembra ancora più inspiegabile. Perchè non la metti in conto, ti aspetti altro dallo sport:  l’esaltazione della vita, della gioia, del benessere condensati in un gesto fisico.  Resta il disagio di raccontare una tragedia. Restano a piangere questo ragazzo la moglie e i figli Caleb e Precious, di 7 e 4 anni: il primo era nato quando lui era appena sedicenne. Una famiglia che aveva spesso dovuto sacrificare per essere competitivo: nei quattro mesi prima di una gara li vedeva solo alla domenica quando tornava nel villaggio di Chepsamo, a 40 chilometri da Eldoret, la sua “pista” di allenamento nella Rift Valley dove, come la maggioparte  dei bambini del suo paese, da piccolo aveva fatto il pastore.  Il Kenya piange un altro re della maratona 13 anni dopo la scomparsa di Samuel Wanjiru, oro olimpico di Pechino 2008 che nel 2011 morì anche lui a soli 24 anni per una caduta dal balcone nella sua casa di Nyahururu, probabilmente durante una lite con la moglie. Destino anche quello.  «Ambizioso pensare di poter scendere sotto le due ore?- aveva risposto Kiptum poco tempo fa a chi gli chiedeva del tentativo di Rotterdam- Se la preparazione andrà nel verso giusto e le condizioni ambientali lo permetteranno, ci proverò. Mi piacerebbe arrivare là dove nessuno è arrivato…”. Volare via facendo ciò che si ama di più . Forse è un consolazione, ma è tutto ciò che  abbiamo…