Difficile capire cosa spinga un cicloamatore a doparsi prima di una granfondo  o di una pedalata la domenica mattina con gli amici. Quale sia la molla che scatta nella testa di chi decide di giocarsi la pelle per mettere la sua ruota davanti a quella di tanti altri tapascioni del pedale. Sì perchè di questo si tratta, perchè ci si può anche credere, illudere, ci si può atteggiare finchè si vuole ma un amatore resta un amatore e un professionista un professionista, mondi e distanti con garanzie mediche, prospettive e obbiettivi differenti.  Pochi giorni fa in Spagna,  nel Torneo Interclubs Vinalopó  che è una corsa amatoriale spagnola a tappe, non appena  è arrivato l’annuncio della presenza della Commissione Spagnola per la Luta Antidopagem no Desporto  130 dei 182 partecipanti hanno annunciato il proprio ritiro. Per carità, non è un prova ma un forte, fortissimo, indizio di chi sa di non avere la coscienza a posto. La questione cambia di poco. Il problema del doping tra gli amatori, al di là di come ognuno la pensi, dovrebbe  essere un “non problema”.  Federazioni e autorità antidoping dovrebbero preoccuparsi di investire denari e energie per controlli non tra gli amatori che scimmiottano i campioni ma tra i professionisti e giovani, perchè l’attività agonistica è roba loro.  Nel mondo amatoriale vale la buona regola dello sport come divertimento, benessere, anche come sano agonismo perchè è bello “suonarsele” tra amici ma il premio non può che essere una pizza o una bevuta. E chi non si arrende o non ci arriva è  libero di “bombarsi” per vincere il trofeo del mobilificio, il prosciutto, un paio di provole… E’ una piaga fetente quella del doping tra gli amatori resa però  più drammatica dal rischio che l’uso di certe sostanze comporta quando è “fai-da-te”.  Ragionando per assurdo si può capire che un professionista faccia uso di doping. Vincere una gara importante, strappare un contratto importante, firmare per alcuni sponsor importanti in un certo senso possono farti svoltare vita e carriera. E quindi il gioco vale la candela.  Ma chi a cinquant’anni  prima di una salita si riempie di salbutamolo rischiando di collassare perchè lo fa? Forse perchè in molte gare amatoriali chi vince trova anche qualche soddisfazione in denaro? E allora basterebbe fare ciò che fanno altri Paesi come la Francia e cioè  premiare non chi vince ma ad estrazione. Ma non è solo per questo. Molta “robaccia” tra gli amatori gira anche per i retaggi di una sottocultura sportiva difficile da scardinare. C’è uno zoccolo duro che non vuole arrendersi che è cresciuto sportivamente così, che così ha allenato gli atleti e così ha educato i figli a cui ha fatto fare sport.  C’è un modo per uscirne?   Investire tutto ciò che può sui tecnici seri che spieghino nelle scuole, nei vivai e dove si allenano i ragazzi che c’è un’etica dello sport e che alla lunga premia. Che spieghino che con i farmaci ( quando non si è malati) si rischia la pelle. Che il doping è droga e crea dipendenza e che se uno la usa per far bene in una gara, poi magari comincia a farlo anche per superare un esame a scuola, per darsi coraggio prima di un colloquio di lavoro o anche per far bella figura con la ragazza.  Che si cominci a raccontare che si può vincere ma che si può anche solo partecipare. E che ogni tanto capita anche di perdere. Ma non è una tragedia…