«Il coraggio  se uno non ce l’ha non se lo può dare…», scriveva Alessandro Manzoni nei Promessi Sposi a proposito di Don Abbondio che si rifiutava di celebrare le nozze tra Renzo e Lucia. Alberto Bettiol di coraggio ne ha da vendere e a Manzoni sarebbe piaciuto parecchio immaginandolo magari nei panni di Fra Cristoforo, l’unico a non aver timore di affrontare il malvagio Don Rodrigo. Nel ciclismo chi ha coraggio a volte perde ma ogni tanto vince come vincono i campioni, come si vinceva un tempo, come si sta ricominciando a vincere in questo ciclismo moderno che sa di antico. Chi ha coraggio magari scatta a una trentina di chilometri dall’arrivo, si tiene dietro da solo  squadroni come la Uae e la Bora e arriva senza mai voltarsi dritto al traguardo della 105ma Milano-Torino sul filo dei secondi.  Chi ha coraggio si prende dei  rischi anche a costo di far brutta figura, “ha cuore” come dicevano i latini, non teme la sconfitta e  coniuga i verbi all’infinito: osare, credere,  pedalare, non pensare. Non pensare e tirar dritto che è un po’ la stessa filosofia che ti porta a scattare senza far  troppi calcoli su uno strappo a Canneto pavese per vincere al Giro e sull’Oude Kwaremont per infilarti dritto nella storia e nella gloria delle Fiandre.  Vale tanto per il trentenne toscano della Educational First Easypost questa sua quinta vittoria da professionista. Vale perchè lo vedi scattare sullo strappo di Prascorsano e ti torna alla mente quella piovoso domenica d’agosto quando nel mondiale di Glasgow partì sullo lo strappo di Montrose Street a una cinquantina di chilometri dall’arrivo.  Più di qualcuno disse allora che non aveva senso, che era pazzo, che era l’azione disperata di uno sapeva che non poteva vincere e che lo aveva fatto solo per mettersi un po’ in mostra. E bastato lasciar passare qualche mese per capire, rendersi conto, rendergli onore. Sono passate un paio di stagioni ed è tornata la primavera per un atleta che ha il dna del campione, che come tutti paga spesso il conto a fenomeni come Van der Poel, Pogacar, Van Aert ma che interpreta il ciclismo alla stessa maniera. Andare in fuga è un atto di coraggio. Va in fuga chi non ha paura di perdere, chi non vuole avere rimpianti, chi non ha paura della solitudine. Sembra un mondo alla rovescia,  pieno di contraddizioni ma capace di magie. Così , senza pensarci troppo  ci si alza sui pedali e si scatta. Trenta, quaranta, venti, dieci, sette nove secondi.  Lo hanno braccato ma lui è rimasto lì a qualche centinaio di metri, a galleggiare tra la beffa e la grande impresa, a cercare di non pensare, di non voltarsi. Ha continuato a guardare avanti, perchè chi ha coraggio guarda sempre avanti padrone del prorpio destino.  In Scozia il cielo era di un grigio plumbeo, oggi sul traguardo di Salassa splendeva il sole.