Fanno bene a far festa a Vignone, sulle colline del Lago maggiore  a monte di Verbania. Parenti, amici e compaesani di Pippo Ganna si erano dati appuntamento davanti al maxischermo allestito all’Oratorio di San Martino per seguire la «finalina» per il bronzo dell’inseguimento a squadre di ciclismo su pista del quartetto azzurro con Simone Consonni, Jonathan Milan e Francesco Lamon.  E alla fine è esplosa la gioia. Vale un oro questo bronzo. Vale perchè è una  conferma, perchè il tempo passa e restare al vertice  non è semplice e soprattutto non è scontato. E vale oro perchè ( va detto) , la squadra azzurra, perfettamente guidata dal Ct Marco Villa,  tra le quattro semifinaliste, è stata l’unica in questi anni a dover fare i salti mortali per trovare un velodromo dove allenarsi. Non è un dettaglio. Così dopo l’oro di Tokyo, il treno azzurro risale sul podio sconfiggendo nettamente la Danimarca nella sfida per il terzo posto. Gli azzurri partono più lenti, sono costretti ad inseguire i danesi che forse esagerano e,  dopo  un paio di chilometri, iniziano a cedere e si sfaldano del tutto per cercare di resistere all’accelerazione di Milan. Bronzo col tempo di 3’44″197 e quasi due secondi sui rivali. L’oro va al quartetto dell’Australia: Oliver Bleddyn, Sam Welsford, Conor Leahy e Kelland ÒBrien che chiudono in 3’42″067, battendo in finale la Gran Bretagna, argento in 3’44″394. Ci sono medaglie che sono più pesanti di altre. E questo bronzo pesa davvero parecchio perchè arriva il giorno dopo una “batosta” che aveva tolto ai nostri il trono Olimpico e il record del mondo conquistati A Tokyo.  Non c’era solo una medaglia da conquistare, bisognava rimettere insieme i cocci, ricompattarsi, rimettersi a pedalare forte, fortissimo, per far capire al mondo che la storia continua…