Punteranno  la sveglia alle quattro stanotte i triatleti dell’olimpiade. Ma sarà una notte d’inferno, un notte piena di dubbi e di incertezze, una vigilia “non vigilia” che peggio non si poteva immaginare per una sfida che vale una medaglia olimpica. Ciò che sta succedendo a Parigi non è assurdo, ma molto, molto peggio. La Senna è inquinata e si sapeva da anni, mesi  e settimane. Oggi per il secondo giorno consecutivo è stato vietato agli atleti di tuffarsi e domani mattina con una gara olimpica programmata per le 8  ancora non si sa bene cosa succederà: se i livelli dei batteri saranno sopra la norma la gara maschile potrebbe essere posticipata di qualche giorno oppure ridotta ad un duathlon ( corsa, bici , corsa) che non è neppure disciplina olimpica. Follia nella follia.  Una situazione paradossale, frutto della presunzione di un comitato organizzatore che non si è mai curato di pensare ad un piano B, che non l’ha mai preso in considerazione con la tipica spocchia che alimenta la grandeur e  l’illusione di poter controllare ogni cosa, eventi compresi, e che porta considerare tutto come un fastidioso dettaglio, soprattutto gli ateti, i loro sogni, le loro paure, i loro sacrifici, la loro vita. D’altronde basta ricordare cosa è successo nella cerimonia di inaugurazione per rendersene conto: pensare di poter tenere un centinaio di capi di Stato per quattro ore sotto un diluvio non è una dimenticanza, non è la sciatteria di un’organizzazione che ha pensato anche all’ultimo dettaglio politicamente corretto: è un mostruoso atto di arroganza. E vale anche per le gare del triathlon. Tenere in sospeso fino a quattro ore dal via una sfida olimpica, qualsiasi essa sia, è la prova provata che al centro di questa olimpiade non ci sono gli atleti.