L’inflazione dei prezzi energetici è un problema non solo per i consumatori, ma anche per il quadro macroeconomico del nostro Paese perché un eccessivo rincaro potrebbe minare dalle fondamenta la ripresa. In queste ultime settimane il prezzo del gas al megawattora ha superato i 100 euro per poi ritracciare sotto quota 90 euro, mentre il petrolio (sia il Wti che il Brent) è dalla scorsa estate stabilmente sopra gli 80 dollari al barile. Ma quali sono le cause di questo trend? Ne abbiamo discusso nell’ultima puntata del nostro live con Matteo Ballarin, presidente di Europe Energy che opera nella vendita al dettaglio di energia con il marchio Withu.

Presidente Ballarin, cosa ha causato l’aumento dei prezzi del gas naturale? 

«C’è un incredibile incremento dei prezzi, ma se guardo alle richieste di materia prima non sono così elevate, bensì sono in linea se non inferiori al periodo pre-Covid. Non c’è nessun motivo fisico per l’incremento di 20 volte del prezzo all’ingrosso se non quella che definisco una guerra geopolitica. Il gas è uno strumento per farci la guerra. La maggior parte viene importata dalla Russia e, in questa fase storica, c’è una forte contrapposizione con l’Unione europea. Tra i motivi del contendere c’è anche il gasdotto Nord Stream 2 che arriva in Germania e che gli Usa vorrebbero bloccare, mentre la Russia vorrebbe che diventasse la maggiore fonte di approvvigionamento per il mercato europeo. La Russia è ricca di gas e il calo degli stoccaggi non giustifica gli attuali prezzi spot. I prezzi di estrazione non sono cambiati ma la cosa che mi fa più specie è che la causa degli aumenti non sembra interessare nessuno nonostante nel recente passato si sia verificata una situazione simile con la crisi in Ucraina».

Il ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, ha proposto di sbloccare le attività estrattive perché abbiamo giacimenti poco sfruttati. Può essere una buona prospettiva?

«Non abbasserebbe i prezzi subito perché rimettere in moto l’industria richiede tempo, ma mi sorprende che non sia già in moto perché per l’energia dipendiamo dall’estero. E anche per le rinnovabili dipendiamo dall’estero perché ci manca il silicio per i pannelli fotovoltaici. Se abbiamo materie prime in casa, ci vorrebbe una legge per obbligarci a sfruttarle. Purtroppo, noi italiani abbiamo la famosa sindrome nimby che blocca tutto. Ovunque si ricominciasse a scavare insorgerebbero i comitati territoriali per dire no e, considerato che ogni sei mesi c’è un’elezione, i cinquanta voti del comitato di territorio farebbero comodo sia a destra che a sinistra e questo bloccherebbe le attività estrattive. Non capisco perché non si stenda il tappeto rosso alle trivellazioni. A Tempa Rossa, in Basilicata, abbiamo il maggior giacimento petrolifero in Europa ma le polemiche frenano tutto».

 

Anche i rialzi dei prezzi petroliferi sono legati alle tensioni geopolitiche?

«Il prezzo è salito ma le fluttuazioni sono state infinitamente inferiori a quelle del gas. Le quotazioni del petrolio sono raddoppiate rispetto a marzo 2020 ma qualche anno fa si attestava sui 200 dollari al barile. Occorre poi considerare che in situazioni standard si considera il prezzo ottimale in un range tra 50 e 60 dollari al barile che garantisce la remunerazione corretta ai Paesi produttori senza bloccare la crescita dei Paesi industrializzati. C’è tensione ma non è un incremento paragonabile a quello del gas. Il petrolio ha molta più possibilità di movimento. Si può trasportare via nave perché il mondo è pieno di raffinerie, mentre per il gas sono imprescindibili i gasdotti perché i terminali di rigassificazione del gas naturale liquefatto (LNG) sono molti di meno. In Italia ci sono una cinquantina di raffinerie in grado di permettere alle navi di scaricare petrolio mentre per il gas ne abbiamo solo due e quindi siamo esposti alle strozzature del sistema. Negli Usa era stato spinto lo shale gas che però non è semplice da veicolare e inoltre abbiamo lasciato che la Cina concludesse contratti di lungo termine per il gas naturale liquefatto. Ecco perché l’unica soluzione per calmierare i prezzi del gas è mettersi d’accordo con la Russia».

 

L’Ue sta cercando con molte difficoltà di creare un gruppo d’acquisto di gas naturale. Trovare un accordo fra 27 Paesi non sarà semplice visto che ci sono diversi modi di intendere la transizione energetica ricomprendendo al suo interno anche l’utilizzo dell’energia nucleare.

«La piattaforma unica d’acquisto è una balla. I burocrati europei devono capire che c’è già una piattaforma unica d’acquisto che è la politica. Che ci sia una controparte o venti non cambierebbero le difficoltà a relazionarsi con la Russia. Inoltre colossi come Eni, Enel ed e.On non hanno bisogno di un’unica piattaforma per trattare con Gazprom. Il problema sono le autostrade del gas e si è creato quando la Germania da sola ha deciso con la Russia di realizzare Nord Stream per avere grandi quantità di gas e boicottare i grandi progetti del Sud Europa che avrebbero reso l’Italia un hub del gas. La piattaforma la fa il mercato: bisogna spalancare le strade su altri gasdotti che permettano di bypassare la Russia e andare in Kazakhstan anche se pure lì l’influenza russa è notevole. Dieci anni fa c’erano tanti progetti di terminal di rigassificazione, bloccati perché in ogni porto sono tornati i famosi comitati che l’hanno avuta vinta. L’Ue dovrebbe essere una regia forte dal punto di vista infrastrutturale, poi  il mercato è efficiente e i prezzi li fa da sé».

 

Non resta che puntare sulla transizione energetica…

«Sulla transizione energetica dobbiamo capire cosa vogliamo fare e farci carico delle conseguenze. Se un terzo della bolletta è costituito da incentivi per il verde, non lamentiamoci dei prezzi. Dobbiamo essere consci che dobbiamo farci carico della transizione energetica perché l’Ue è l’unica istituzione che ha applicato il Protocollo di Kyoto con le sue successive modificazioni. Rendiamoci conto che l’acciaio sarà prodotto tutto in Cina e negli Usa che non pagano 60 euro per megawattora di quote CO2. Vogliamo diventare un Paese prettamente turistico e di servizi? Allora non parliamo di salvare l’Ilva di Taranto e le fabbriche della Fiat! Bisogna avere le idee chiare: la transizione energetica va benissimo ma dobbiamo essere pronti a pagarne le conseguenze».

 

Allora, riapriamo al nucleare?

«Io sono un grande acquirente di energia nucleare e ho visitati tante centrali in Svizzera e in Francia. Hanno un basso impatto ambientale se realizzate bene. Non penso che gli svizzeri siano un popolo di pirla se ci convivono. Ma non parlo di nucleare in Italia perché sarebbe tempo perso. Ma almeno il Deposito Nazionale delle scorie! In Spagna c’è la corsa dei Comuni a ospitare i depositi perché ricevono finanziamento. Di sicuro in Italia abbiamo un problema culturale».

 

In conclusione, ci dà qualche consiglio per abbassare i prezzi con il mercato libero?

«Il mercato libero consente un enorme risparmio perché chi ha fissato un prezzo basso nei mesi scorsi può approfittare della riduzione degli oneri di sistema per l’elettricità e dell’abbassamento dell’Iva sul gas chi è sul mercato libero e ha scelto di avere prezzo fisso pagherà molto bassa l’energia e avrà agevolazioni. Oggi, però, il prezzo fisso è da sconsigliare perché è alto e credo che bene o male arriverà un equilibrio perché questi prezzi nel lungo termine uccidono la domanda e la Russia non può permettersi di creare recessione nel suo mercato di riferimento. Oggi è consigliabile il prezzo variabile. Ma soprattutto bisogna ricordare che ci sono comportamenti che cambiano la bolletta: non sprecare acqua, farsi la doccia a temperature non troppo elevate, non lasciare la porta del frigo aperta: Questo è l’unico modo per tagliare in modo sostanziale la bolletta».

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