qui«Bisogna dare un’importanza anche allo sforzo, all’impegno, a come si valorizzano le risorse di cui si dispone, alla verità. Stiamo trasmettendo ai nostri figli e alle nuove generazioni l’idea che se non vinci non sei una persona valida. Stiamo creando così una tremenda quantità di falliti».   Due cose hanno segnato la vita sportiva di Quique Setièn, neo allenatore del Barcellona: il Mondiale di scacchi del 1972 tra Bobby Fischer e Boris Spassky e affrontare da calciatore il Barça di Johann Cruijff, il Dream Team. Il resto lo ha fatto lui, passo dopo passo, tutto da solo. Come atleta prima e come allenatore dopo. Un cammino, una strada lungo la quale poi ogni sportivo si dovrebbe incamminare e che apre uno squarcio su una sacrosanta verità che purtroppo spesso in tanti perdono di vista. E cioè che il punto finale della crescita di un calciatore, di un nuotatore, di un triatleta, di uno sportivo in genere alla fine non sono la vittoria, il record, la medaglia olimpica.  Il punto finale è il percorso che nella sua carriera ( e nella sua vita) riesce a fare con i mezzi e con il talento che ha. Sono il suo impegno, la sua intelligenza, la sua capacità di avvicinarsi il più possibile ai propri limiti, la sua lealtà. Un grande atleta non è necessariamente uno che vince.  Ma è chi di giorno in giorno riesce a migliorarsi, a fare un piccolo passo avanti fino a dove gli è possibile. E’ colui che nulla lascia di intentato, che non cerca alibi nè scorciatoie. Quique Setien presentandosi così al Nou Camp e spiegando ai blaugrana qual è l’essenza della sua filosofia sportiva credo abbia fatto un gran regalo non solo ai suoi calciatori ma anche a tutti quelli che  ancora credono che lo sport sia la più fantastica strada possibile da percorrere per diventar grandi.