Franzen e quella doppia copertina
A chi frequenta le librerie può capitare in questi giorni di imbattersi in un “fenomeno” editoriale molto significativo. In Italia, infatti, è arrivato Purity il nuovo romanzo di Jonathan Franzen. Non nella versione italiana, che Einaudi sta finendo di approntare, ma nell’edizione inglese e in quella americana. Si tratta di due editori distinti che hanno scelto per l’ultimo lavoro dell’autore de Le correzioni due copertine affatto differenti. Quella americana (per i tipi di Farrar, Straus & Giroux) è bianca con il titolo e il nome dell’autore dello stesso corpo editoriale (color celeste) e in mezzo l’immagine sfocata di una ragazza). Quella inglese è più vistosa ma soprattutto sottolinea soltanto il fatto che si tratta dell’ultimo lavoro di Franzen (corpo ben evidente di colore scuro). Il titolo è in corpo minore e di colore bianco su un fondo anch’esso chiaro. Insomma appare evidente che per l’editore americano la cosa importante è dare una veste che richiami il testo e il suo significato, come si è sempre tradizionalmente fatto finora nel lavoro editoriale. Gli inglesi, invece, appaiono più sbrigativi. Sembra, con questa copertina, che la loro unica preoccupazione sia quella di veicolare come messaggio che il volume in questione è l’ultimo “prodotto” di Franzen, già marchio sufficiente come garanzia commerciale.
Pochi giorni fa sul Foglio Mattia Ferraresi ha pubblicato una bella intervista proprio all’editore americano di Franzen (Jonathan Galassi) che si preoccupava proprio di sapere dall’intervistatore se la copertina gli era piaciuta. Raccontando, poi, nei dettagli il lungo lavoro che aveva portato alla scelta finale.
Dall’intervista si evince che Galassi è un editore illuminato e sensibile. Attento soprattutto alla qualità del suo lavoro. E oggi è quanto mai importante che l’editoria sia qualificata. Questo perché proprio la figura di filtro dell’editore rischia di essere schiacciata tra testo/autore e fruitore. Questo in conseguenza del sempre maggior potere acquisito dal cosiddetto selfpublishing. Soprattutto dalla sua versione digitale (ebook).
Se si vuole una disamina attenta dei rischi che corre l’editoria e soprattutto se si vuole sapere cosa effettivamente dovrebbe fare un buon editore bisognerebbe leggere L’impronta dell’editore che Roberto Calasso ha pubblicato due anni fa (ovviamente per i tipi di Adelphi). Sono andato a cercare il testo dopo aver letto la notizia che la sua casa editrice veniva scorporata dal gruppo Rcs nella cessione di quest’ultimo al marchio Mondadori.
E la risposta a questa operazione commerciale (sostanzialmente Calasso ha rilevato insieme ad altri due soci le quote di maggioranza della casa editrice per tornare indipendente) è tutta nel suo racconto di come è nata (e soprattutto perché) la Adelphi. Calasso ripercorre la sua storia professionale e tratteggia i contorni di quello che secondo lui dovrebbe essere un buon editore. Poi spiega con perizia di dettagli perché è ancora fondamentale il suo lavoro nella distribuzione dei testi (cioè dei libri).
Cito a questo proposito uno degli ultimi passi del testo. Laddove si parla appunto di editoria nel nuovo millennio tra i tanti pericoli costituiti dal selfpublishing, dalla crisi della lettura e dal dilagare dell’editoria digitale. “Nel mondo internettico viene tendenzialmente meno – scrive Calasso – la differenza tra opera e comunicazione, tra autore e generico digitante. Di conseguenza verrà meno anche l’obbligo di remunerare l’opera dell’autore, perché tutti sono autori. Alcuni fra i più indefessi produttori di opinioni oggi contemplano questo stato delle cose come una auspicabile conquista della democrazia, una sua globalizzazione che preluderebbe ad altre da porre in atto non soltanto in rete”. Ovviamente questo stato di cose sarebbe non solo la fine dell’editoria e della cultura letteraria, ma anche la fine di una civiltà.
Forse questo libro dovrebbe essere letto soprattutto dai lettori forti, quelli che ancora vanno in libreria a scegliersi un libro non soltanto in base al nome dell’autore o all’accattivante confezione, ma perché convinti da tutta una serie di filtri che di quel libro ne garantiscono affinità (per il lettore) e qualità.
ps
come lettore ho sempre trovato rassicurante una cifra affatto peculiare delle edizioni Adelphi. Quella cioè di mettere in fondo al volume l’elenco dei titoli della collana di cui quel titolo fa parte. Accanto ai titoli compaiono sempre il numero di ristampe. E per quasi tutti i titoli della casa editrice diretta da Calasso quel numero è il segno evidente che si tratta di un catalogo sempre vivo e sempre accattivante. Capace di sedurre il lettore di oggi come quello della prima edizione.