Ticket alti e liste di attesa. Gli italiani rinunciano a curarsi
Il dato è inquietante. Quasi un cittadino su dieci rinuncia a curarsi, sia per motivi economici (il costo elevato del ticket), sia per le interminabili liste di attesa che sono un incentivo a desistere. I dati arrivano dal Rapporto 2015 dell’Osservatorio civico sul federalismo in sanità, curato da Cittadinanzattiva-Tribunale per i diritti del malato. Degli oltre 26mila pazienti che si sono rivolti al Tribunale, lo scorso anno, ben uno su quattro ha inserito, come motivo di contestazione liste di attesa (oltre il 58%) e per ticket (31%). Tra i residenti più demotivati ci sono quelli che vivono in Calabria, Friuli Venezia Giulia, Liguria, Marche, Sicilia e Veneto. Al Sud spetta la palma nera per la maggior quota di rinunce (11,2%). Qualche dato in più? Per una visita ortopedica i tempi minimi si registrano al Nord (un mese), quelli massimi al Centro (2 mesi) e per una visita cardiologica con ECG si va dal minimo di 42,8 giorni nel Nord-Ovest al massimo di 88 al Centro, come riporta l’Ansa. Per l’ecografia completa all’addome si deve aspettare, minimo, 57 giorni nel Nord Est mentre al Centro la cifra raddoppia ad un massimo di 115 giorni. Non va meglio a chi si deve sottoporre a riabilitazione motoria con tempi di quasi 69 giorni all Sud. Prendendo un campione di 16 prestazioni sanitarie, al Nord si hanno tempi minimi di attesa, mentre sono i cittadini del Centro Italia (in 12 casi su 16) a chiedere lumi a Giobbe per la sua pazienza. Nel Sud, ed in particolare in Puglia e Campania, i cittadini ricorrono più di frequente agli specialisti privati per aggirare il problema dei tempi troppo lunghi nel pubblico. Per quanto riguarda i ticket, invece, prendendo come paniere le stesse 16 prestazioni, va meglio a chi abita nel Nord Est, a contrario di quelli più elevati che si pagano nel Sud. Secondo il Rapporto Tdm, la prevenzione «si fa a macchia di leopardo, con un Sud che arranca e regioni come Lazio e Veneto che fanno passi indietro rispetto al passato». E nelle Regioni in cui il cittadino sborsa di più, per effetto dell’aumento della spesa privata per le prestazioni e della tassazione, i livelli essenziali sono meno garantiti che altrove. «È ora di passare dai piani di rientro dal debito ai piani di rientro nei Livelli Essenziali di Assistenza, cruciali – afferma, all’Ansa, Tonino Aceti, coordinatore nazionale del Tdm di Cittadinanzattiva – per la salute dei cittadini e la riduzione delle diseguaglianze. Per andare dietro alla sola tenuta dei conti, oggi alcune regioni in piano di rientro hanno un’offerta dei servizi persino al di sotto degli standard fissati al livello nazionale, ma con livelli di Irpef altissimi e ingiustificabili dai servizi resi». Al Giornale, riceviamo spesso lettere e telefonate di cittadini, soprattutto anziani, che denunciano questo stato delle cose. Non nuovo, certo. Ma questo, nel 2016, mi sembra, ormai, ingiustificabile