[photopress:lin.jpg,full,centered]Domani a Milano si corre la Deejay ten. E fanno cinque.  E’ la gara di Linus e mi ricordo ancora la prima conferenza stampa di presentazione quando, al fianco di Gabriele Rosa, esordì dicendo che quella corsa altro non era se non il regalo che si faceva nel giorno del suo compleanno. Arrivo e partenza, praticamente sotto casa sua e dieci chilometri disegnati sul giro solito dei suoi allenamenti. Perfetto, c’è chi può. Poi,   sarà che Linus è Linus, sarà che  la sua trasmissione <Deejay chiama Italia>  fa più ascoltatori di Porta a Porta e sarà pure che la DjTen come corsetta non è niente male, in un lustro gli iscritti sono diventati più di diecimila. Alla faccia di chi gli vuole male. Dico subito che a me Linus sta simpatico. C’è chi pensa che la sua corsa è da <fighetti>,  chi dice che fa le maratone solo per il business e  chi dice che se la <tira>.  Boh…  Lo conosco per lavoro da qualche anno e secondo me la sua è passione pura.  Nei  suoi panni, con uno che ti chiede la foto, l’altro che ti vuol dare un pacca sulla spalla quando ti supera e l’altro ancora che ti saluta come avesse mangiato con te due sere fa, io farei esattamente ciò che fa lui. Anzi secondo me è fin troppo disponibile…

 Ps. Ieri sul giornale lo abbiamo intervistato. Non io che se no sembra che faccio solo quello…  

<Quando  sono uscito di casa, stamattina, e ho visto lo stadio transennato e le auto rallentare mi sono sentito un po’ in colpa. Poi ho pensato ai diecimila che verranno alla corsa e mi sono sollevato: sono anche uno che fa qualcosa per la sua città». La voce da deejay è quella di Linus, al secolo Pasquale Di Molfetta. Il timbro di voce si fa più intenso proprio come la falcata di un corridore all’arrivo quando parla della «sua» corsa: la «Deejay ten». Ritrovo all’ippodromo domani, domenica, alle ore 9 davanti alla statua del cavallo di Leonardo. E poi via per cinque o dieci chilometri fra ippodromo, stadio e parco di Trenno formando un gigantesco otto.
Diecimila persone sono un paese…
«Mi stupisco anch’io. Cinque anni fa eravamo in 2.500, il successivo già 4.000, poi 6.000, 8.000 e ora 10mila. E pensare che era cominciato tutto come un gioco con gli amici che si allenavano con me alla montagnetta. C’è anche una cosa che mi commuove».
Cosa?
«Incontrare in giro per l’Italia gente che indossa la maglietta con il logo della corsa. Anche quest’anno saranno due, una bianca per i dieci chilometri e una arancione per i cinque, entrambe in tessuto tecnico con la scritta Run like deejay».
Fa bene correre a Milano?
«Se uno non ha alternative… correre fa bene comunque. Consiglio di scegliere le cinture verdi, tipo la nostra intorno allo stadio. L’ideale per schiena e ginocchia è correre sulla terra battuta e non sull’asfalto, purtroppo capita che i percorsi non asfaltati siano sconnessi, un rischio per le caviglie».
Pochi parchi però a Milano.
«Soprattutto in centro. Ma la mentalità sta cambiando, gli amministratori hanno capito che le città hanno bisogno di parchi come ha sottolineato ieri Renzo Piano. L’architetto ha elogiato il proposito di infoltire la <CF201>green belt</CF>, la cintura non cementificata attorno alla metropoli. Speriamo nell’Expo, potrebbe davvero essere l’occasione buona».
È meglio un centro chiuso alle auto o l’ecopass?
«Sicuramente il centro chiuso. Sono tra coloro che faticano a capire l’utilità di ecopass. Qualche anno fa i milanesi non erano preparati, ora hanno cambiato testa, c’è una mentalità più ecologica. Penso che i tempi siano maturi per proporre ai cittadini di abbandonare l’auto, anche se…».
Se…?
«Purtroppo viviamo nel paese delle deroghe. Una volta nella giornata ecologica si circolava a cavallo, oggi esci a piedi e ti senti un cretino perché mezzo mondo ha il permesso per accendere i motori».
Come si muove lei in città?
«Al mattino esco in macchina per portare i bambini a scuola e poi perché al lavoro, in radio, ho il posto auto. Per tutti gli altri spostamenti uso lo scooter o il taxi, non saprei dove lasciarla l’auto».
Perché a Milano non si fa una pista ciclabile neppure quando si riprogetta una strada?
«La pista ciclabile è come un’utopia. Le nostre amministrazioni l’hanno sempre affrontata con la mano sinistra ma in fondo riflettono l’assenza di progettualità italiana e la mentalità difettosa del cittadino che non vede al di là del proprio naso».
Perché Milano è ben disposta verso la Deejay ten o la Stramilano e rifiuta la maratona?
«Entrambe, la mia corsa e la Stramilano, sono facili da gestire, si risolvono in una mattinata. La maratona è un serpentone di 42 chilometri difficile da far arrotolare intorno alla città, i milanesi odiano rimanere bloccati anche quando devono andare a pranzo dalla suocera».
Perché è cambiata la data della maratona?
«Proprio per studiare un nuovo percorso, non sarà più in novembre ma in aprile. Da quest’anno faccio parte del comitato organizzatore. La partenza sarà a Rho e l’arrivo al Castello. Stiamo studiando un giro che eviti incroci, semafori e traffico: ho passato due nottate sullo scooter per capire quali siano i viali più adatti, è il mio piccolo contributo a questa città». Dal blog però spunta un altro contributo: domenica largo alla Deejay ten: per l’occasione i corridori sono tutti invitati a colazione da Linus.
Gioia Locati