Pioggia, vento e freddo. Più di diecimila temerari al via. Gli atleti etiopi che si impossessano del podio: primi tre posti per gli uomini, primo e secondo per le donne. Il sindaco che si presenta alla partenza, corre e finisce. La neve che ti inchioda sull Appennino al ritorno. Il rientro che è quasi notte, tra le telefonate e i messaggini di qualche amico che non ha corso ma vuol sapere che tempo hai fatto. E le gambe che il giorno dopo ti regalano quella “magnifica sensazione” di rigidità che  sembri Pinocchio. La ventisettesima maratona di Firenze è quasi tutta qui. 
Il freddo. “Erano anni che non mi ricordavo un domenica così fredda…!  raccontava questa mattina al telefono a mia moglie una sua collega che fa l’ispettrice di Esselunga e che ( beata lei) vive  a Firenze.  E in effetti ieri si battevano i denti.  Le previsioni davano pioggia nel pomeriggio. La realtà purtroppo dava i pioggia già all’alba.  Pioggia gelida, parente prossima della neve che sarebbe arrivata in serata e che il vento ti faceva arrivare addosso di traverso, senza possibilità di ripararti.  Dal deposito borse del Lungo  Arno verso la partenza di piazza Michelangiolo,  l’immagine era quella di una massa  di disperati avvolti in sacchi verdi della spazzatura  in chiassosa processione.  
La maratona. Hanno vinto,  anzi hanno stravinto, gli atleti etiopi. Vi risparmio i nomi, tanto se li ricordano in pochi compreso Franco Bragagna che ieri ha commentato la gara su Raisport, ma basta dire che  tra sei posti disponibili sul podio se ne sono presi cinque. Il resto è stato il popolo della maratona. Bello, caparbio, colorato, allegro, affaticato, sudato e alla fine infreddolito. Già la fine. Il nuovo percorso della Firenze Marathon alla fine metteva un bel ponte al 33mo chilometro e una svolta secca per passare sull’Arno prima di Ponte Vecchio a un paio di mille dal traguardo. Due coltellate ai muscoli già provati dall’acqua e dalle raffiche di vento che hanno accompagnato il gruppo dal primo all’ultimo chilometro. In piazza santa Croce ho visto gente che tremava, che dal freddo non riusciva a parlare,  che cercava un posto asciutto dove cambiarsi. Ho visto Cristian, uno che ha fatto l’ironman non una mammoletta, cambiarsi, asciugarsi, cercare una coperta da mettersi addosso e tornare in albergo in taxi. Pallido da far paura.
Il sindaco Renzi. Che dire? Bravo. Questa maratona  lo mette sotto un’altra luce. Lo avevo vsito qualche settimana fa da Vittoria Cabello a Victor Victoria su La7 e m’era sembrato, senza offesa, un po’ presuntuosello. “Si, son dimagrito- aveva detto- ma è perchè devo correre la maratona. Lo faccio per una scommessa…”. Non sai cosa t’aspetta caro mio, ho pensato tra me e me… E ieri l’ho visto passare mentre aspettavo mia moglie che doveva arrivare sul lungo Arno. Poco meno di cinque ore, l’aria giustamente affaticata, il passo onestamente non spedito. Però è arrivato fino alla fine e credo sia il primo sindaco che fa tutta la maratona della sua città. In tanti ( troppi) lo annunciano ma poi si presentano alla partenza, fanno dei bei pistolotti su quanto sia giusto correre, su quanto sia civile che una città promuova la corsa, su quanto loro siano dalla parte dei maratoneti e poi via.  Una sbandieratina e pronti per un’altra comparsata. Renzi ieri ha preso gli applausi dei fiorentini, ha sentito le lemanetele ( poche) di qualcuno che è rimasto intrappolato in auto ma soprattutto credo abbia capito cosa sia una martona. Chapeau!
Smarathon e il Gruppo Gazzetta. Una sessantina di persone. Tutte nello stesso hotel, tutte sveglie all’alba per la colazione, tutte insieme o quasi verso la partenza e ognuno per la sua strada in maratona. Come  è giusto che sia.  C’è chi ha corso per 15 chilometri e poi ha mollato,  chi si è fermato alla mezza, chi ha fatto un buon tempo e chi ai trentadue ha detto basta. Come  Elio Leoni, il capitano del Gruppo della Gazzetta, che però ha 82 anni e ieri mattina era lì piazza Michelangiolo stretto nel suo Kway azzurro a raccontarci e  a spiegarci come si fa. Fantastico.
Lo doccia calda. Quando corro non do una logica nei miei pensieri, va come va e cerco solo di non concentrami sulla fatica. Ieri all’inizio pensavo alla pioggia che qui a Firenze sta diventando una costante, ai miei tre bambini che mi aspettavano da qualche parte sul percorso, a mia moglie che era dietro, ai fiorentini che hanno un modo di parlare che mi fa sorridere, a Luca che non sapeva se partire, correre, fermarsi o ritirarsi, a Emilio incontrato per caso in gara intorno al decimo chilomentro,  al marziano Fabrizio che sapevo che c’era ma non sono risucito a intercettare e alle catene che avevo nel baule del furgone preso a noleggio ma che non ho mai montato. Tutto  tra un’occhiata al crono, il laccetto dei pantaloncini che mi si era ingarbigliato  e non risucivo a più a stringere e il mio miglior tempo che inesorabilmente  si allontanava. Poi c’era il mio polpaccio “ferito” al 28mo chilometro in una caduta che via via diventava più dolorante e mi tormentava. Però all’improvviso ho azzerato tutto. L’unico pensiero, quasi un chiodo fisso, è diventata la doccia calda del mio albergo. Guanti zuppi, scarpe bagnate, ghiacciate anche le ossa, il chilometro che separava piazza Santa Croce dal mio albergo è stata la replica degli ultimi tre di maratona. Anzi no,  peggio. E’ incredibile quanto una doccia calda possa cambiare la fisionomia delle cose, possa stravolgere un punto di vista.  In un quarto d’ora ti ripassano davanti tutte le immagini della gara. La pioggia alla partenza, caduta, la crisi del 34mo, l’ultimo terribile strappetto prima di Pontevecchio. Lasci scorrere l”acqua che ti scalda piedi, mani e anima  e la tua testa, piano piano,  riavvolge il nastro riassaporando quei 42 chilometri che prima ti sembravano un inferno. E ora assomigliano sempre di più alla tua impresa.
La neve, l’appennino e l’Autogrill. <Lo so che hai fatto la maratona, l’ho capito quando ti ho visto scendere le scale>. Area di servizio di Cantagallo, sull’appennino Tosco emiliano. Neve che sembra di essere in Finlandia. Uno spettacolo magico se non fosse che la coda è talmente lunga che qualche poveretto rischia di passare qui la notte. Verso Milano,  in qualche modo, riusciamo a sfilarci e , mentre Isoradio dà notizie sempre più inquietanti di quanto sta succedendo alle nostre spalle, approdiamo dopo Pian del Voglio in un’area di servizio che sembra il campo base della protezione civile, tra spazzaneve che si girano per tornar sù e auto con i lampeggianti che arrivano e ripartono. Pausa. Scendere dalla macchina dopo tre ore  guida e dopo una maratona è una bella botta di dolore, difficile da mascherare. Come scendere le scale. Così tra un Muffin, un cappuccio caldo e un panino Riviera, chi ha fatto la maratona lo capisci al volo.