Nella mia vita di maratone ne ho corse una trentina: tre all’anno è la media. Mi alleno, mi prendo delle pause e poi ci riprovo. Senza esagerazioni. Sempre sotto le quattro ore, a volte vicinissimo alle 3 ore e mezzo ma senza patemi d’animo nel senso che se al traguardo il mio cronometro segna un buon tempo sono felice ma se anche ci metto una decina di minuti in più sono felice lo stesso. L’importante è star bene anche perchè, quasi sempre, il giorno dopo mi tocca lavorare. Solo una volta, tre anni fa ho fatto la follia di correre due maratone in una settimana: Milano e Firenze in rapida successione. Mai più.  Una fatica che la mia mente ha ben presente e che ogni tanto mi ricorda, quasi ad ammonirmi. Per questo affascinano quegli atleti che riescono con naturalezza a fare cose esagerate. E’ il caso  di Tristan Miller, un trentatreenne australiano che da ieri è iscritto di diritto nel Guinness dei primati per aver corso la sua 52/ma maratona in altrettante settimane in 42 paesi del mondo. E nei giorni scorsi quando ha tagliato il suo ultimo traguardo é stato accolto come un eroe da centinaia di sostenitori nell’Albert Park della sua Melbourne.   Miller ha concluso così un’odissea che lo ha portato in ogni continente superando malattie, infortuni, solitudine e un jet lag permanente, consumando sette paia di scarpe e raccogliendo l’equivalente di 11 mila euro per l’Unicef. Ha registrato il suo miglior tempo di 3 ore e 3 minuti a Berlino ed è arrivato secondo in un’ultramaratona di 100 km in Mongolia. In totale ha corso per più di 2300 chilometri su percorsi che si snodavano attraverso deserti, passi alpini, grandi città, la Grande muraglia cinese e persino le distese gelate dell’Antartide.  Ha raccontato di aver cominciato a correre sei anni fa in seguito ad un divorzio, ma l’effetto catalizzatore è venuto lo scorso anno quando ha perso il lavoro con Google, che ha chiuso l’ufficio di Melbourne durante la crisi finanziaria globale. Ha quindi deciso di vendere tutti i suoi averi per finanziare l’impresa. C’è poco da aggiungere credo.