Basta fare due conti per capire quale sarà il futuro della maratona nei prossimi anni. Nessun «giallo», anzi sì tantissimi: gli atleti cinesi. Un esercito sul quale si è messo al lavoro, su incarico della Federazione asiatica, il professor Gabriele Rosa che dallo scorso anno è il responsabile della nazionale femminile cinese di maratona. «Hanno tutto per vincere – spiega il tecnico bresciano – Le caratteristiche genetiche e antropologiche, la capacità di applicazione, gli altipiani per allenarsi e le strutture. E poi appunto i numeri». E il calcolo si fa in fretta: «Se da 35 milioni di keniani spuntano almeno 1000 atleti in grado di inserirsi tra i top runner – analizza Rosa – da 1 miliardo e 400 mila cinesi se ne possono aspettare almeno 10 mila di ottimo livello. E tra questi, dieci che diventano protagonisti assoluti ci sono di sicuro…». Pragmatismo bresciano. Pragmatismo con cui ha già fatto i conti anche il vicepresidente della Federazione atletica di Pechino che su questa scommessa ha investito e vorrebbe già passare all’incasso: «Ho accettato l’incarico – spiega Rosa – Ma gli ho anche già anticipato che non vinceranno l’oro alle prossime olimpiadi di Londra. Ma nei prossimi anni credo proprio di sì…». «Mister maratona», come viene chiamato Gabriele Rosa nel mondo dell’atletica, è il tecnico che ha scoperto gli atleti keniani, che ha insegnato loro che la corsa non era solo il cross, che li ha allenati e che li ha fatti vincere. Praticamente tutto. Con Paul Tergat, Martin Lel a Samuel Wanjiru, solo per citarne tre, ha dominato gli ultimi tre lustri nella storia delle 42 chilometri nel pianeta, ha vinto olimpiadi, titoli mondiali, ha trionfato a New York, a Boston, a Londra e Berlino. E ora prova ad aggiungere un pagina di gloria al suo curriculum e alle attese di un Paese che domina discipline come la ginnastica o i tuffi ma che è praticamente assente nella corsa di resistenza.
La sfida è cominciata qualche tempo fa con un incontro. Quando è stato contattato dai funzionari della Federazione di atletica cinese rimasti impressionato dal lavoro che l’equipe bresciana ha fatto in Kenia con il progetto Discovery. «Più o meno mi dissero che volevano fare la stessa cosa con la squadra femminile di maratona – ricorda Rosa -. Che volevano che iniziassi un programma di selezione per creare una gruppo in grado di competere nelle grandi gare internazionali». Sono seguiti incontri, viaggi e sopralluoghi fino ad arrivare nello Yunnan, una Provincia del Sud Ovest al confine con il Tibet. «Per i maratoneti sembra la Terra promessa – dice Rosa -: un altopiano che va dai 2300 ai 4mila metri di altitudine e che si estende per 2500 chilometri, con strade perfette, salite discese e dove il traffico non si sa neppure cosa sia. Un posto così per allenarsi di corsa o in bicicletta non esiste al mondo. E qui vivono 100 milioni di persone abituate a queste altezze e a fare sport».
Il progetto per portare i cinesi a vincere in maratona partirà da Lijiang e Shangri-La, due paesi ad oltre tremila metri che il team Rosa ha scelto come campi-base per le selezioni dei corridori. E anche qui, come è già successo in Kenia, oltre che a curare gli allenamenti degli atleti e la formazione dei tecnici l’equipe bresciana entrerà nelle scuole per insegnare corsa e sport come ha espressamente chiesto la Federazione cinese. «La differenza con il Kenia però è sostanziale – ammette Rosa -. Là tecnici e atleti non avevano cognizione di cosa fosse l’allenamento per una maratona, ma per distanze più brevi sono i migliori al mondo. In Cina la corsa parte praticamente da zero. Non hanno metodo. Cominciamo un lavoro importante con la nazionale femminile dove è tutto più facile se si considera che Paula Radcliffe, la primatista mondiale, oggi ha già 37 anni. Ma è un progetto da cui trarrà sicuramente giovamento anche la squadra maschile». Il primo appuntamento e per aprile con la London Marathon dove Rosa scommette sulla 27enne Zhu Xiaolin che alle olimpiadi di Pechino ha già sfiorato il podio: «Ha un buon margine di miglioramento e ne sentiremo parlare…». E se lo dice lui c’è da credergli.