Sì lo so che gli studi su quanto bene fa o quanto male fa corrre e allenarsi per una maratona sono ciclici. Ogni tanto ne viene pubblicato qualcuno e un altro ancora che magari sostiene il contrario. Però di menti scientifiche che applicano le loro conoscenze e la loro ricerca alla corsa di lunga lena ce ne sono parecchie e ciò significa che la pratica dei maratoneti per la scienza qualche indicatore importante lo dà. E così come pubblichiamo le ricerche che spesso portano a conclusioni non troppo favorevoli mi sembra giusto pubblicare anche quelle che provano e sostengono quanto bene faccia correre, maratone comprese. Si perchè la differenza è tutta qui. Che correre faccia bene è ormai più che assodato da qualsiasi punto di vista medico e  scientifico. Qualche dubbio in più resta sulla maratona, pratica che molti, medici compresi, considerano troppo stressante per un fisico che non sia propriamente quello di un atleta. Ma  questo studio fatto su alcuni partecipanti alla maratona di Boston sostiene esattamente il contrario.  Gli allenamenti per partecipare a una maratona migliorano la salute del cuore dei corridori di mezza età non professionisti, stimolando la riduzione del colesterolo e incrementando la forma fisica e le prestazioni cardio-respiratorie. Allenarsi per una maratona potrebbe quindi essere una valida strategia per sostenere il benessere del cuore, secondo un nuovo studio presentato alla 63esima sessione scientifica annuale dell’ American College of Cardiology. La ricerca ha analizzato lo stato di salute di 45 corridori maschi dai 35 ai 65 anni di età che stavano progettando di partecipare alla maratona di Boston del 2013. I partecipanti sono stati allenati dal Dana-Farber Marathon Challenge fundraising team, reclutati in un programma di formazione di diciotto settimane che includeva corse di gruppo, allenamento alla resistenza e consigli nutrizionali per arrivare a coprire dai 19 ai 57 chilometri a settimana. La partecipazione al programma di allenamento ha portato a significative trasformazioni di alcuni fattori determinanti per il rischio cardiovascolare. Il colesterolo «cattivo» ad esempio è sceso in media del cinque per cento mentre il colesterolo totale del quattro per cento e i trigliceridi del quindici per cento. Le diciotto settimane hanno portato in media anche a una riduzione dell’un per cento dell’indice di massa corporea e a un aumento del quattro per cento del massimo consumo di ossigeno, parametro della salute cardio-respiratoria, potente indicatore prognostico della mortalità cardiovascolare. Lo studio è stato condotto da Jodi L. Zilinski del Massachusetts General Hospital.

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