L’ipocrisia del doping. E dell’antidoping
In un mondo dove sempre più si twitta e si condivide valgono ancora i proverbi. Roba vecchia, “antica” come dicono i miei figli. Ce n’era uno che spiegava (spiega) che “si chiudono sempre le stalle quando i buoi sono scappati”. E così funziona l’antidoping da noi e non solo da noi. Si fa sempre tutto dopo. S’indaga dopo, si interrogano i testimoni dopo, si condanna dopo e ci si indigna dopo. Così è stato per Lance Armstrong, incastrato dopo una decina di anni, così sta succedendo per Alex Schwazer. Confessioni, dettagli, frequentazioni, notti con le maschere dell’ossigeno, incontri sui camper nelle piazzole delle autostrade. Ora si scopre tutto e di più . Ora si scopre che Carolina Kostner “non poteva non sapere”. Già sentita ‘sta frase. Ma due anni fa, quando Alex Schwazer confessò al mondo che aveva fatto uso di Epo, possibile che a nessuno della procura antidoping del Coni sia venuto in mente di sentire la sua fidanzata? Che senso ha farlo ora? E’ l’ipocrisia dell’antidoping che pretende di sconfiggere il doping indagando a ritroso. Che s’illude così di arginare un fenomeno che fa parte dello sport ma che per giochi di potere di Federazioni (e di sponsor) appare limitato al ciclismo e ora all’atletica. E’ l’ipocrisia di tante firme che ieri si sono accorte sulle prime pagine dei giornali di “amori dopati” ma che mai un dubbio sollevano su “campionati dopati” perchè è ovvio che nel calcio, come in tanti altri sport, il doping non esiste. Sarà anche così. Anzi sicuramente sarà così. Salvo poi, quando i rapporti di potere cambieranno, acccorgersi che non era proprio così. E alllora chiuderanno anche quelle stalle lì. Ma non servirà più a niente.