Ottima la bici da spinning. Ottimi anche i rulli. Con vista sulla parete del salotto, della camera da letto o sul muro di un garage. Maglia tecnica,  asciugamano, musica nelle orecchie e borraccia con i sali che sembra quasi vero. Un “clac” , le scarpe si agganciano e si comincia. C’è poi chi alla bike o ai rulli collega un cavo del pc e allora davanti  scorrono le immagini dei una tappa del Tour, di un muro del Fiandre, dello Stelvio o del Mortirolo  che sembra quasi tutto vero. La strada sale e i pedali sotto i tuoi piedi diventano più duri da spingere come se anzichè un videocgioco fosse una salita vera. Si fa di necessità virtù. Per i malati della bici l’inverno padano non è una stagione felice. Per “osare” si aspetta un giornata senza nebbia, una strada senza ghiacchio, un cielo con uno spicchio di azzurro e un raggio di sole. E comunque non a tutte  le ore. Chi può mette la bici in strada tra le undici del mattino e le tre del pomeriggio, l’unica finestra possibile. Oltre non si può. E’ l’umidità che ti gela l’anima. Ti si ghiaccia addosso. Guanti, gambali, cosciali, maglia termica, wind stopper, passamontagna, casco, sottocasco e copriscapre che sembri un palombaro o uno della banda Bassotti. E non sempre bastano. Così i rulli e la bici da spinning diventano l’unica salvezza. Ci si adegua e ci si accontenta. Fino a quando non si ha la fortuna o la sfortuna ( dipende dai punti di vista) di andare due o tre giorni sulla riviera Ligure a “svernare” in una coda delle vacanze natalizie. Un altro mondo.  Che tradotto in cifre fanno 19 gradi centigradi alle undici del mattino, un sole caldo che sembra primavera, un cielo terso che si vede la Corsica e qualche audace ( più di uno) che si tuffa in mare per fare una nuotata. La pianura padana non c’è più. Cancellata, dimenticata, lontanissima.  E la bici torna ad essere  ciò che deve essere. Non il tormento di un inverno umido e nebbioso, i piedi e le mani ghiacciate e il freddo che ti trapassa le ossa. Ma il godere di pedalare in “corto” anche il 3 di gennaio, il piacere del sudore che ti cala dalla fronte, la “libidine” di sentire il vento caldo che ti accarezza la faccia. Alassio, Laigueglia, Capo Mele,  Capo Cervo e poi Capo Berta puntando verso Imperia e ancora verso la salita del Testico avventurandosi nell’entroterra. Chilometri e chilometri con l’inverno che è poco più di un ricordo e il mare alla tua sinistra che ti ricorda quanto Milano sia lontana. Sali e scendi. Sali e scendi senza bisogno di smanettare sulla manopola della tua bici da spinning e senza cliccare sul programma che ti modifica la resistenza dei rulli. Pedali, fatichi, fai i conti con la strada, con le sue buche, con i suoi brecciolini ai lati delle curve, con il bagnato delle zone in ombra, con gli incroci e con qualche altro ciclista che non ti va proprio di lasciar andare via e alla fine ti arriva il conto. Lo paghi tutto dopo la doccia, quando ti siedi a tavola per cena nel tuo hotel perchè cammini che sembri Pinocchio e fatichi a scendere le scale. Ma è una gioia. Magia della bici, quella vera. Perchè i rulli e lo spinning sono solo lontani parenti…