Ultramaratoneti sotto la lente. I grandi sforzi, la fatica prolungata delle 24 ore di corsa, dei grandi trail o delle 100 chilometri che si dilatano oltre il buonsenso possono, sugli atleti non adeguatamente allenati,  comportare più di qualche rischio.  Può succedere che i batteri intestinali sviluppati durante lo sforzo possano disperdersi sistema sanguigno causando una intossicazione cioè una risposta infiammatoria iperattiva del tutto simile a quella di una setticemia. E questo può portare a coaguli di sangue e perdite dei vasi sanguigni, alterando il flusso sanguigno e privando gli organi del corpo di ricevere ossigeno e nutrienti necessari. Lo studio ( anzi gli studi perchè sono due) che arrivano a questa conclusione  sono stati portati a termine dai ricercatori della Monash University di Melbourne, in Australia,  che hanno analizzato un campione di atleti dopo alcune gare <estreme>.  Gli studi  guidati dal dottor Ricardo Costa del Department of Nutrition and Dietetics a Monash – sono stati pubblicati sul International Journal of Sports Medicine and Exercise Immunology Reviews. Quella dell’avvelenamento del sangue Secondo i Centers for Disease Control and Prevention (CDC), è una sindrome che  colpisce oltre 1 milione di persone negli Stati Uniti  ogni anno. Neonati e bambini, persone anziane, persone con malattie croniche – come il cancro o l’AIDS – e le persone che hanno subito gravi ustioni o traumi fisici e quelli con un sistema immunitario indebolito sono a più alto rischio. Lo studio australiano inserisce tra i soggetti a rischio anche gli ultramaraoneti e gli sportivi estremi. Secondo il dottor Costa, l’esercizio intenso prolungato per più di 4 ore in una sola sessione di allenamento o di gara  è considerato estremo. Per gli studi, il team medico australiano ha analizzato campioni di sangue di 17 persone che hanno preso parte ad un’ultra maratona di 24 ore e 19 persone che hanno partecipato a un’ultramaratona in più fasi e tutti hanno identificato marcatori identici a quelli trovati nei campioni di sangue dei pazienti ricoverati in ospedale per sepsi. “I campioni di sangue prelevati prima e dopo gli eventi, rispetto ad un gruppo di controllo, hanno dimostrato che l’attività fisica per un periodo prolungato di tempo provoca un cambiamento della parete intestinale, permettendo ai batteri naturalmente presenti nell’intestino, noti come endotossine, di fuoriuscire nel sangue- spiega il Dottor Costa– Questo poi innesca una risposta infiammatoria sistemica dalle cellule immunitarie del corpo, simile ad un grave episodio di infezione.”  È interessante notare però come lo studio abbia  evidenziato che i partecipanti allenati adeguatamente e più in forma avevano rispetto alle persone meno prepparate livelli più alti di una citochina antinfiammatoria, l’interleuchina 10 nel loro sangue, che hanno compensato gli effetti negativi  endotossine, indotta da risposta immunitaria. “E’ fondamentale che chi si iscrive ad una gara estrema – spiega il dottor Costa– si sottoponga prima ad un controllo sanitario e si faccia consigliare un programma di allenamento lento e costante per avvicinarsi alla gara. Assolutamente da evitare la partecipazione improvvisata e con stage di allenamento  troppo brevi come, ad esempio,  le maratone preparate in un mese. Il corpo infatti ha la capacità di adattarsi e di porre un freno alle risposte immunitarie negative innescate da eventi estremi di resistenza ma solo se adeguatamente preparato”.  In buona sostanza quindi vietato il fai-da-te nella preparazione di un evento impegnativo come una maratona, un trail o un ironman. L’avvicinamente deve essere graduale, lento e soprattutto responsabile. Chi ci prova è deve partire da un checkup medico specifico e soprattutto farsi consigliare da un esperto la preparazione con test e allenamenti che non solo preparino  forza, potenza e resistenza fisica, ma che alleni a gestire anche lo stress  di gare in cui l’apporto mentale è fondamentale.