vanSaranno ricordati come i giochi dell’attesa. Giochi sospesi aspettando che i giudici  diano il via libera ad atleti appesi a un ricorso. E sono più d’uno. Ma dopo la cerimonia di apertura, la 31ma edizione di Giochi di Rio, credo  sarà ricordata anche come quella “ricompensa”.  Che è un valore evangelico, antico,  purtroppo in disuso. A cui non siamo più abituati.  Perchè oggi tutto scorre veloce,  in fretta, non si ricorda più nulla, vale solo la condivisione immediata, un clic che si consuma in un secondo senza lasciar traccia.  Ciò che è accaduto è storia che sembra non interessare più a nessuno, che si dimentica: “troppo vecchio” dicono i ragazzi di oggi. Invece ci sono momenti in cui molti  tasselli tornano finalmente  al loro posto. E ieri sera è toccato alla storia di Vanderlei  Da Lima riavvolgersi e rimettersi a posto. Storia di maratona, che non a caso è l’essenza dell’Olimpiade. Il suo senso più pieno. Il brasiliano ad Atene era in testa quando venne bloccato da Cornelius Horan, un predicatore irlandese, un “folle” come lo descrisse in quella sera dolcissima per noi Franco Bragagna che con quella sua telecronaca rese ancora un po’ più magica la medaglia d’oro di Stefano Baldini. Vandereli Da Lima, arrivò terzo. Non per colpa del predicatore irlandese, non avrebbe vinto lo stesso. E quando, dopo i Giochi, lo incontrai in una conferenza stampa al Pirellone per la maratona di Milano, ebbe l’onestà di ammetterlo. Però, comunque sia, ad Atene qualcosa gli fu tolto. Se non altro la serenità di giorcarsela fino alla fine. Erano anni che non vedevo il maratoneta brasiliano. E ieri sera quando è apparso come ultimo tedoforo mi ha fatto tenerezza. La testa imbiancata, il passo non più agile come 12 anni fa , i segni del tempo che non risparmia neppure i campioni dello sport. Anzi.  Un “omino” che con tutta la fierezza di cui è stato capace ha accettato una sconfitta senza alibi, senza lamenti, senza scomporsi. Meritava una ricompensa. E ieri sera finalmente è arrivata.