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Fabian Cancellara
e  Dan Craven, il primo e l’ultimo della crono olimpica.  Due mondi. Uno svizzero con sangue italiano che quando pedala sembra un locomotiva e un namibiano, con barba e occhiali, che più che un professionista pare un cicloamatore nella sgambata della domenica.  Fabian Cancellara e Dan Craven, due mondi divisi da un quarto d’ora in generale che in una crono da una cinquantina di chilometri sono un’eternità. Uno su un missile con protesi e ruote lenticolari, l’altro su una bici da strada normale, la stessa che ha usato nella gara in linea,  perchè solo quella aveva. Uno con un body che sembrava una seconda pelle, perfetto per limare qualche decimo in più, l’altro con la stessa maglia e gli stessi calzoncini che aveva usato domenica lavati in tutta fretta nella stanza del villaggio. Uno con i rapporti giusti per il circuito del Grumari da ripetere due volte, l’altro con un 53 davanti e un 25 dietro, senza possibilità di togliere o aggiungere denti. Fabian Cancellara e Dan Craven uno medaglia d’oro, l’altro maglia nera, due mondi così lontani ma in realtà vicini, vicinissimi. Perchè basta girarla quella  classifica lì e l’ultimo diventa primo. E non ci sarebbe nulla da dire. Basta girarla per rendersi conto che hanno vinto tutti e due. Ha vinto Fabian che ha onorato questi Giochi e con la medaglia d’oro al collo, la seconda dopo Pechino, chiude nel modo che merita una carriera  formidabile. Ha vinto Dan, che era venuto a Rio per correre la gara in linea e quando, il giorno prima della crono, gli hanno detto che poteva farla ha fatto un salto sulla sedia: ” No, non se ne parla- ha detto a pelle il namibiano- Non ho la bici adatta, non ho i rapporti, neanche un body e sarebbe come correre una gara di Formula Uno con un’auto per la Nascar”. Poi come racconta Usa Today, deve averci ripensato.  Ha scritto un tweet chiedendo consiglio ad alcuni suoi amici in Namibia e la risposta non si è fatta attendere: “La crono olimpica? Non vuoi correrla? Ma sei pazzo…!”. Perchè un’olimpiade è un’olimpiade e ti capita forse una volta nella vita di essere dentro la magia più grande che possa esserci per uno che fa sport. Perchè per un Paese di due milioni di abitanti Craven, e pochi altri atleti professionisti come lui, sono esempi da seguire. Perchè il sogno olimpico è il sogno di un popolo e perchè  lui aveva l’opportunità di farlo diventare realtà. Per lui e per tutti i suoi. E allora via. Numero trentasette, ultimo a partire e ultimo ad arrivare. Ma chissenefrega. Anzi no. Perchè poi alla fine c’è sempre un buon motivo che premia chi fa le cose. “Il mio Paese, la Namibia, la conoscono i pochi- ha raccontato Craven– E c’è uno studio che spiega che ogni dodici turisti che arrivano per noi è un posto di lavoro in più. Ogni volta che vengo citato su Eurosport, che una telecamera mi inquadra in molti che non hanno mai sentito parlare della Namibia poi vanno sui Google ad informarsi. E poi magari vengono a visitarla…”. Ultimo. Ultimo, ma poi uno si accorge di aver portato la bandiera del suo Paese in una gara olimpica e allora capisce che le classifiche contano quel che contano. E poi basta capovolgere le classifiche. Primo o ultimo questa volta pari sono…