13882162_1012836462097546_479856027018734943_nLe lacrime. Le mani sul viso a nascondere il pianto. La stretta di mano di Tom Dumoulin e quella di Chis Froome. Poi l’abbraccio e i salti di gioia con gli uomini del suo staff che avevano capito come sarebbe andata a finire la crono olimpica di Rio tanti chilometri prima, ma avevano tenuto le dita rigorosamente incrociate. Fabian Cancellara, ha dominato. E’ il campione olimpico a cronometro, come otto anni fa a Pechino. Un’ora e e 12 minuti alla media 45,255 km per mettere tutti in fila e non gente qualunque ma anche uno che ha vinto tre Tour. La “locomotiva di Berna” entra con tutta la gloria che si merita nella stazione di Olimpia e spegne i motori. Fine. Fine di una carriera che  è di quelle da raccontare a figli, nipoti, a tutti quelli che amano il ciclismo. Con maglie gialle, titoli mondiali, con tre Parigi-Roubaix, tre Giri delle Fiandre ed è inutile anche continuare. Fine in una giornata brasiliana che sembrava una classica del Nord, con pioggia e vento al posto del sole e del mare che si è visto poco, con gli spettatori stretti nelle cerate, con una strada bagnata che faceva venire i brividi.  E forse anche per questo lo svizzero che ha sangue lucano nelle vene perchè suo nonno e suo padre a Berna ci sono arrivati da emigranti, è volato via imprendibile. Come solo lui sa essere quando mette carbone nella caldaia del suo motore. La locomotiva va e non la prende più nessuno anche se, come oggi, c’è salita, anzi ce n’erano due.  Che non è proprio il terreno che lui preferisce, che non sono i binari dove va via veloce. Ma l’aveva detto già nella prova in linea che non era venuto qui a raccogliere la gloria del passato,  a far passerella, a firmare autografi per ciò che aveva fatto. L’Olimpiade era  l’ultima sfida della sua carriera, l’ultimo traguardo da onorare, l’ultima vittoria da andare a prendersi.  Quattro intermedi che hanno segnato il tempo di una marcia trionfale, che hanno fatto capire a Dumoulin a Frooome ma anche a Rohan Dennis che oggi non avrebbe avuto scampo anche se non avesse rotto la protesi che lo ha costretto a cambiar bici. Quel numero 5 sulla schiena lo hanno visto passar via con un fruscio. Lo hanno visto accelerare e scendere con una picchiata precisa, chirurgica, verso il mare. Senza rallentare dove gli altri frenavano, continuando a pedalare dove gli altri prendevano fiato. Lo hanno visto passar via come passano i grandi, come solo i campioni sanno fare. Ora c’è solo il tempo di godersi l’ultimo sogno, di mettere il cuore e i muscoli  a riposo e di raccogliere gli ultimi applausi. Poi la locomotiva più veloce di sempre  spegnerà i motori. Sembra un peccato. E invece è la vittoria più ambita. Uscire in bellezza da un presente indimenticabile per entrare nella storia che lo attende. E con una medaglia d’oro al collo.