mara“Se è possibile chiudere una maratona sotto le due ore? Tutto è possibile, devo allenarmi bene ma penso proprio che sia possibile…”.  Stanley Biwott, keniano, vincitore della maratona di New York due anni fa e secondo alla Londra nel 2016 non si chiama fuori da un 2017 in cui potrebbe cadere il muro oltre il quale la maratona diventerebbe (se già non lo è)  uno sport bionico. Quarantadue chilometri e 195 metri in meno di due ore: incredibile, impossibile, improbabile. Ma gli aggettivi vengono spazzati via dai progetti di due colossi industriali dello sport come Nike e Adidas che su questa scommessa hanno investito senza risparmio. Sfida che va oltre la sfida dove non è detto che a vincere sia l’atletica, dove  lo sport cede il passo al business, la poesia alle regole del marketing.  Si prova a sgretolare un muro che non è solo un dato cronometrico ma la storia di uno sport, una leggenda scritta di secondo in secondo, di centimetro in centimetro da fenomeni come  Paul Tergat o  Haile Gebrselassie  tanto per citarne alcuni. Un muro che dovrebbe resistere ancora una decina di anni, perchè mancano meno di tre minuti all’ora “ics”, un sospiro nella vita normale, il tempo di un uovo alla coque, che però quando si corre così veloce diventano un’infinità. Un muro che oggi vacilla sotto i colpi di due progetti che forse arrivano in un momento sbagliato, perchè con tutti i sospetti, gli intrighi e le denunce che hanno offuscato l’anno olimpico forse l’atletica e lo sport avrebbero più bisogno di un passo indietro che non di un salto così audace in avanti.  Ma nella corsa, così come nelle logiche commerciali, arrivar primi conta. Così si stringono i tempi e la sfida sarà quest’anno. Il Breaking2  di Nike ha  messo sotto contratto Eliud Kipchoge, 32 anni keniano, oro a Rio e un personale di 2:03:05, l’etiope Lelisa Desisa (2:04:45) già vincitore di due maratone di Boston e l’eritreo Zersenay Tadese detentore del primato mondiale sulla mezza maratona con 58:23 che, seguiti da una pletora di tecnici, specialisti, psicologi, medici e informatici sacrificheranno la loro stagione agonistica per una sola gara. Per un solo giorno quando su un percorso tracciato appositamente, senza salite, senza grandi curve , senza nulla che possa rallentare un drappello di lepri che tireranno fino a sfinirsi proveranno a scrivere una storia più mediatica che sportiva che non potrà forse neppure essere omologata dalla Iaaf. Ma non è questo il punto, poco importa perchè farà il giro del mondo,  dei siti, delle tv, finirà su maglie, scarpe, spot, sarà una griffe che da vendere e promuovere. Ma non solo Nike. All’assalto della maratona bionica ci sarà anche Adidas  che cercherà quest’anno il record con il primatista mondiale, il keniano Dennis Kimetto,  2:02:57 due anni fa  Berlino, e con altre due gazzelle keniane come Wilson Kipsang e Patrick Makau . Lo schema più o meno è lo stesso e anche qui non si tratta solo di fermare un cronometro. Ma di migliorare un limite che è soprattutto un investimento commerciale per far risplendere un marchio. C’è lo sport e c’è il business. Oggi viaggiano insieme, inutile illudersi. Però la maratona è sempre stata il simbolo di un’impresa riservata agli eroi, predestinati del Mito, capaci di conquistarsi la benevolenza degli Dei con imprese di straordinaria e solitaria fatica. Così era nell’antichità e così è sempre stato. Ma forse, anche questa, ormai è un’altra storia…