Le bici, le corse e il parco chiuso
Telecamere termiche, laser e chissà cos’altro ancora per scovare i motorini nei piantoni delle bici, nelle ruote, nei mozzi…Più nascosti che mai e più schermati che mai così da rendere tutto inutile o quasi. Doping tecnologico come il doping chimico, genetico e farmaceutico: veloce, velocissimo, sempre un passo avanti. E’ nella logica delle cose purtroppo e non solo nello sport visto che un refrain che spesso torna dalle nostre parti è “fatta la legge trovato l’inganno”. Ma nel ciclismo sport i danni che provoca il sospetto sono enormi. Una salita troppo veloce, un cardio che inspiegabilmente non sale al crescere dei watt, una ruota che continua a girare dopo una caduta, una bici che si muove troppo velocemente dopo l’arrivo di tappa sono crepe che rischiano di spegnere la passione. E il ciclismo è passione. Che però non vuole dubbi e compromessi. Non vuole essere tradita. Non vuole che ci si dia di gomito dopo un vittoria, dopo una fuga che va importo, dopo aver conquistato lo Stelvio o il Mont Ventoux. E allora per spazzare via ogni dubbio, per alzare un barriera contro i furbetti del motorino evitando la tiritera dei controlli nelle cui maglie (larghe) qualcuno sempre si infila, il ciclismo dovrebbe far ciò che già si fa in Formula Uno e cioè disporre il “parco chiuso” nella gestione dei grandi Giri, delle classiche, delle corse in genere. Qualcuno ci ha già pensato ma, più che pensarci, bisognerebbe provarci. Non pare complicato. Prima della gara tutte le bici a disposizione delle squadre vengono controllate, verificate e punzonate e restano in uno spazio chiuso e “sigillato” ( in F1 ci sono telecamere e teli che non si possono rimuovere se non alla presenza dei giudici) dove non sono più disponibili per manutenzione e cambiamenti. Idem per quelle trasportate dalle ammiraglie. Si gareggia con quelle e solo con quelle che a fine corsa tornano in parco chiuso per i controlli. Non so se funziona. Però…