A Volano l’essenza del triathlon
Ci arrivi che è notte al Lido di Volano e ti viene normale chiederti: “Ma dove siamo finiti?”. Chilometri e chilometri su strade e argini senza incontrare anima viva, file di case con porte e finestre sbarrate come è normale che siano le case di mare fuori stagione, vie deserte, insegne spente. C’è l’odore del salmastro a ricordare che la spiaggia e qui, da qualche parte, ma che questo è anche il più settentrionale dei sette Lidi di Comacchio, quello più vicino al delta del Po, un paradiso naturalistico che il buio nasconde e che il silenzio di un’oasi intatta rende anche un po’ inquietante. Capita sempre così quando arrivi fuori tempo nei luoghi dove non sei mai stato. La notte e la stanchezza partoriscono un’ansia sottile soprattutto al pensiero che domattina qui dovrai tuffarti non si sa bene dove, nuotare, pedalare e correre un mezzo ironman che è pur sempre una bella scommessa…. Ma c’è un bel cielo stellato a farti coraggio. Così “dove sei finito” lo capisci la mattina dopo all’alba trattenendo il fiato. Il Lido di Volano è lo spettacolo di una natura che non ha bisogno di esibirsi. Una riserva naturalistica dove, tra laghi salati e pinete, gli sterrati portano verso il mare che ad aprile sono spiagge libere e desolate dove la meraviglia prende il posto degli ombrelloni e degli aperitivi sulla spiaggia. C’è poco e niente ed è ciò che cerchi quando, ad una certa età, diventi allergico a tutto quello che fa rima con confusione. Qui si viene in vacanza ma qui si fa triathlon. E l’Irondelta è l’essenza del triathlon che non ha bisogno di lustrini e di pajettes per farti emozionare. Lo sa Paolo Temporin, l’organizzatore, che salendo su una balaustra prima del via non ha molte raccomandazioni da fare. Se non una, fondamentale: “Rendetevi conto di dove state correndo… Questa è un’oasi naturalistica, non sporcate, non buttate rifiuti e carte per terra….”. E così sarà. Magia nella magia in un mondo dove troppo spesso sul territorio le gare lasciano il segno. Un brutto segno… Così la sesta edizione di una sfida che ha visto sfilare campioni come Daniel Fontana, Martina Dogana, Matic Modic e Massimo Cigana diventa l’occasione per ricomporre il mosaico di un’avventura sportiva che vede al via 400 coraggiosi che alle 9 in punto sfidano i 14 gradi dell’acqua limpida del Lago delle Nazioni. L’acqua gelida ti toglie il fiato. Ti spezza il respiro e ti congela i piedi. Ma è un attino. Poi è un dolce pedalare avanti e indietro su un argine tutto per i triatleti. Tre, quattro, cinque ore per i più lenti. Tre, quattro, cinque ore senza sentire un motore, un clacson, un fastidio. E solo il vento che fa rumore. Ti si infila sotto il casco, ti secca le labbra e ti asciuga sudore e salsedine sul body. Ti rallenta, ti fa faticare, ti fa incazzare. In bici così funziona. E se la scia non c’è fai i conti con la tue gambe e la tua superbia. Fino a che punto si potrà osare? E la corsa che dà la risposta. Qui come altrove, come sempre. Ma qui la corsa è in una pineta secolare che sembra raccontarti una fiaba, che è un dedalo di vie e sterrati che si perdono nel bosco, che non finisce mai nel suo avanti e indietro. C’è un mondo che fatica e che prova a conquistarsi la sua gloria ce n’è un altro che corre per vincere. Come Massimo Cigana che ti sfila via leggero, come Elisabetta Villa prima tra le donne o come Francesca Invernizzi, la sua prima volta su queste distanze, travolta da un branco di daini mentre era al comando. Capita. Forse no, non capita mai. Ma qui si che capita. Ed è la magia di un posto dove si torna un po’ all’origine. E’ come il delta di un fiume che porta tutto al mare e dove puoi aspettarti di tutto. In questo pezzo di Camargue di casa nostra,il triathlon ritrova la sua essenza…