fauUn secolo di Fausto. Il campionissimo, l’Airone, l’uomo solo al comando. Fausto Coppi sempre presente. Sempre al presente che quest’anno compie 100 anni ma è morto giovane il 2 gennaio 1960 a Tortona, per una banale malaria non diagnosticata dai medici. Fausto rimasto giovane nella storia, nelle foto, nella memoria. Fausto e Gino, Gino e Fausto, due mondi . Fausto che è rimasto vivo nella sua leggenda, sulle pagine dei giornali, nei racconti di chi l’ha visto vincere e rivincere,  nelle discussioni al bar, nei racconti sentiti e risentiti. Un secolo di Fausto  saranno tante cose. Mostre, libri, incontri, commemorazioni e pedalate come è giusto che sia.  Per spiegare a chi l’ha solo sentito nominare chi era quel garzone di salumeria diventato eroe, quel ciclista bianco e azzurro che ha vinto con distacchi clamorosi, che ha entusiasmato e diviso l’Italia del Dopoguerra  una nazione che si fermava quando passava il Giro e tratteneva il fiato quando lui si alzava sui pedali.

La struttura morfologica di Coppi, se permettete, sembra un’invenzione della natura per completare il modestissimo estro meccanico della bicicletta. Coppi in azione non è più un uomo, del quale trascende sempre i limiti comuni. Coppi inarcato sul manubrio è un congegno superiore, una macchina di carne e ossa che stentiamo a riconoscerci simile. Allora persino i suoi capelli che il vento relativo scompiglia, paiono esservi per un fine preciso: indicare la folle incontenibile vibrazione del moto.

Il volto affilato e nervoso è un completamento della dinamica meravigliosa cui pure obbedisce il torace a carena. Le braccia sono due aleroni d’attacco. Non altro. Dalle reni ampie e falcate, dalle anche robuste si partono i muscoli che conferiscono alle gambe di Coppi quell’aspetto di leve disumane. Nel giro uniforme della pedalata, questi muscoli schioccano come elastici or tesi or rilassati con arte sagace e il brillio dei raggi, nelle due ruote, entra per la sua parte a creare uno spettacolo di meccanica facilità e di umana vigoria che conquista.

Allorché agile procede sul piano, l’abusata immagine della locomotiva che avanza per alternarsi di bielle in rotazione ti viene imposta da Coppi. Allorché, dondolando ritmicamente sui pedali, si attacca ad una salita e tu vedi Coppi al di là di ogni umano limite rinnovare l’antica bellezza dei miti più non osi guardarlo se solo pensi che egli è, come te, uomo. Più non osi per non sentirti a petto suo, troppo meschino. E allora pensi spontaneo esaltarlo come un fenomeno unico dello sport: ed esaltarti in lui che, grandissimo e ineguagliabile campione, è almeno, come te, italiano.
GIANNI BRERA