La maratona, Kipchoge e il record che non fa sognare
C’è una linea netta che separa record e vittoria. Intanto però è’ fatta. Il muro delle due ore in maratona non c’è più. A buttarlo giù con una prestazione fantastica è stato stamattina a Vienna il keniano Eliud Kipchoge , il più forte maratoneta in circolazione oggi a prescindere da questa sfida pensata e studiata dalla Ineos, l’azienda del miliardario inglese Jim Ratcliffe, l’uomo più ricco di Gran Bretagna, che si è fatta carico dell’organizzazione di una maratona che ovviamente non sarà certificata dalla Iaaf perchè maratona non è. E’ un’altra cosa e per ciò va presa. E’ un test che sgretola un limite sportivo ma soprattutto psicologico, che apre una via sportiva ma anche commerciale. Un’ora 59 minuti e 40 secondi per correre 42,195 metri sono un tempo pazzesco. Inimmaginabile fino a qualche anno fa. Una prestazione atletica eccezionale ottenuta però con un’auto davanti al gruppetto dei maratoneti a scandire l’andatura, con una quarantina di lepri che si sono date il cambio nel proteggere dall’aria Kipcoghe che correva ben coperto nel mezzo, con un percorso disegnato nel parco del Prater, lungo l’Hauptallee, con un strada completamente riasfaltata e con sole due curve a 180 gradi, due soli cambi di direzione che hanno permesso al keniano di risparmiare parecchi secondi: “Quanto si può guadagnare così rispetto a una abituale maratona cittadina? – si chiede il campione olimpico di Atene Stefano Baldini- Come minimo 3 secondi al chilometro. Infatti a mio parere la prestazione di oggi vale esattamente come il record mondiale di Maratona a Berlino 2018, corso dallo stesso Kipchoge in 2h01’39”. Personalmente, preferisco le gare, e per fortuna Eliud Kipchoge è un campione anche in quelle…”. E qui si torna al punto d’inizio. C’è una linea netta tra record e vittoria. C’è e si vede. I record sono esperimenti: è tutto studiato, calcolato, programmato, racchiuso in un algoritmo che (in teoria) garantisce il risultato. Sicuramente affascinante ma la vittorie si ottengono in gara, misurandosi con gli avversari, guardandoli negli occhi, sentendoli respirare.. E poi la maratona è storia e mito. E’ anima. E il pathos dove le forze che regolano l’animo umano si contrappongono al logos, la parte razionale e scientifica. E allora si vince guardando il crono, ma non si sogna. Si vince davvero solo entrando a braccia alzate nel Panatinaikò dopo aver battuto ad uno ad uno tutti gli avversari, evitando le buche, difendendosi dal caldo, dal vento, facendo i conti con un rifornimento mancato perchè nella ressa qualcuno ti ha dato una gomitata. Ed è ciò che fa la differenza e la storia. Tutto il resto sembra un audace esercizio di stile che ricorda un po’ il record dell’ora del britannico Graeme Obree che, negli anni Novanta, face a pezzi il primato di Francesco Moser. Ma pedalava su una bici che sembrava una lavatrice…