newDue keniani, Joyciline Jepkosgei e Geoffrey Kamworor hanno vinto la Maratona di New York numero 49. Fine. Onore ai vincitori, come è giusto che sia, ma chissà già domani quanti si ricorderanno chi sono. Quanti ricorderanno i loro nomi e le loro facce. Quanti ne parleranno nei bar,  negli uffici,  negli spogliatoi delle palestre. Già chissà… Probabilmente nessuno. Però voci e immagini della infinita diretta Rai che ha raccontato la più bella e affascinante maratona del mondo sono state tutte per loro. Tempi, tecnica, posizioni, tattiche, postura, appoggi dei piedi  sull’asfalto, andature e via così per quasi tre ore, mentre sullo sfondo sfilavano le immagini di una città meravigliosa, di un popolo in corsa nelle retrovie e di una folla felice, plaudente e tifante appoggiata alle transenne che chissà quante storie avrebbero potuto raccontare. Fantastica la gara , per carità. Competenti e precisi anche i commenti come possono esser quelli di chi l’atletica la racconta magnificamente da sempre e di chi questa maratona l’ha corsa e anche vinta. Ma New York non può essere solo questo. New York è un’altra cosa. E tre ore di diretta tv, nel cuore di una piovosa domenica pomeriggio da molti passata sul divano con la stufa accesa in attesa delle castagne,  sono davvero un’occasione persa per raccontare una gara unica che è il migliore spot possibile a uno sport meraviglioso. D’altronde va sempre così. La maratona in tv segue sempre il solito schema. Lo stesso di sempre da New York a Roma, Milano, Torino, Carpi e via trasmettendo. È non solo nel canovaccio Rai, va detto. Perche’ non e’ che le telecronache della altre emittenti che ci hanno provato siano state chissà quale rivoluzione. Difficile cosi’ per chi non sia un maratoneta restare sintonizzato.  Una maratona al 15mo, al 24mo ma anche al 38mo chilometro non è uno spettacolo televisivo che ti dà chissà quale scarica di adrenalina. È se poi là davanti a giocarsela là non c’è nemmeno un italiano…E allora come fare per catturare in tre ore di trasmissione qualche spettatore e farlo incuriosire alla maratona? Innanzitutto cedere alla tentazione di raccontare la gara in modo più “pop”‘ andando a scovare le tante, tantissime storie che si nascondono nella pancia del gruppo, le sfide, i sogni e le emozioni della gente normale. Cercare di trasmettere a chi guarda in tv che la corsa non è solo un affare da professionisti inarrivabili che filano via a oltre 20 chilometri orari. Chi non hai mai corso non deve chiedersi “come fanno?” ma “come posso fare?”. Per catturare la gente che non corre il racconto di una maratona deve scontentare gli addetti ai lavori, i fissati, i tecnici e gli atleti che sono davanti ala tv perché infortunati o perché correranno la domenica dopo. Loro sanno già tutto. Una maratona e’ un lungo viaggio tra un popolo che è felice di far fatica, in città che hanno quasi sempre storia e storie da raccontare, tra tecnicismi che devono essere tradotti in banalità. Devono cambiare le immagini che non possono essere sempre quelle di chi corre là davanti, i commenti tecnici che se sono quelli di addetti ai lavori si rivolgono sempre agli addetti ai lavori e devono cambiare le forze in campo. Per tre ore di diretta non bastano un ottimo telecronista e delle ottime spalle, servirebbero almeno un paio di giornalisti inviati in più. Altrimenti la noia ti uccide e il telecomando e’ sempre li’ a portata di mano. Che poi Jepkosgei e Kamworor sono bravissimi, ma domani chi se li ricorda?