“Per me è arrivato il momento di inseguire altri sogni…”. Ashleigh Barty, per tutti Ash, l’australiana numero uno del tennis mondiale saluta tutti e se ne va. Basta così. Una decisione improvvisa comunicata, come usa oggi, con un video su Instagram: lasciare lo sport che le ha dato ricchezza e gloria a un mese dai suoi 26 anni cambiando prospettiva, inseguendo un insopprimibile desiderio di vivere, lontano da viaggi, tornei e allenamenti. Le era già accaduto: a 17 anni, nel 2014, mollò tutto. Disse che Jason Stoltenberg, il suo allenatore di allora, l’aveva completamente svuotata e per diciassette mesi fece altro, si inventò professionista del cricket. Tornò sui campi guidata e consigliata da Casey Dell’Acqua, la tennista sua connazionale a cui affidato in video la sua decisione. I sintomi che l’hanno portata salutare la compagnia c’erano tutti: prima che la pandemia bloccasse il mondo, dopo una sconfitta in semifinale a Melbourne,  Ash si presentò in conferenza stampa con la nipotina in braccio e a tutti sembrò un messaggio abbastanza chiaro che qualcosa si stava rompendo. Lo stress da sport ha fatto vittime illustri. Negli ultimi Giochi olimpici avevano colpito tutti le lacrime  e la storia della ginnasta statunitense  Simone Biles che, dopo un errore in gara, aveva lasciato l’olimpiade: “Non ho più fiducia in me stessa e sento che non mi sto divertendo più come prima- spiegò- So che questi sono i Giochi, volevo farli ma in realtà sto partecipando per altri, più che per me. Mi fa male nel profondo che fare ciò che amo mi sia stato portato via. Non appena salgo in pedana siamo solo io e la mia testa… e lì ci sono demoni con cui devo confrontarmi». Un crollo  che fece rumore perchè la 24enne ginnasta statunitense, simbolo di un America che sa andare oltre i suoi limiti, è un mito nel suo Paese e non solo. Proprio come la Barty che nel tennis da anni scrive una storia di vittorie e primati. Ma lo sport dà e lo  sport toglie. E sempre più spesso i ritmi e le pressioni che gli atleti devono gestire soprattutto in vista di grandi appuntamenti sono macigni difficili da portare sulle spalle per ragazzi che hanno spesso meno di vent’anni e che vivono la loro età tra sacrifici, rinunce e aspettative enormi. Una gioventù “negata” anche se  profumatamente pagata e ricca di gloria e notorietà. Ma non sempre può bastare e non sempre conta. Non basta quando la testa entra in corto circuito. E le storie sono tante.  Esemplare quella di Michael Phelps, altro idolo americano, l’olimpionico più decorato  della storia dei cinque cerchi con 28 medaglie, di cui 23 d’oro che scese dalla “giostra”  sei anni fa , raccontando le tante difficoltà emotive apparentemente invisibili dentro la macchina perfetta del suo corpo: «La vera forza è ammettere la propria vulnerabilità…” spiegò. E rimase da solo a combattere i suoi demoni.