“In Italia il ciclismo si è sgonfiato. La situazione economica è quella che è  e quindi è molto più difficile trovare degli sponsor che possano investire somme importanti. Non dimentichiamo che oggi per fare una squadra di primo livello servono dai 20 ai 30 milioni di euro. E non sono cifre irrilevanti…”. Così raccontava il compianto Giorgio Squinzi cinque anni fa a “Tutti convocati” su Radio 24.  Quando c’era lui e la sua Mapei il ciclismo era un’altra cosa, oggi invece il ciclismo è ciò che pandemie, guerre, crisi economiche permettono che sia, cioè  uno sport con la spia rossa dei conti accesa e con la necessità di trovare sponsor e soldi dove c’è ancora qualcuno disposto ad aprire i cordoni della borsa. E allora i mondiali si possono anche correre negli Emirati dove il deserto non è solo geografico ma anche sulle strade e all’arrivo perchè molti non sanno neppure chi siano Sagan o Alaphilippe.  E allora il Giro parte da Budapest e sta da quelle parti due o tre giorni  prima di approdare dove si è sempre corso e dove si dovrebbe correre, cioè in Italia. E allora il Tour del 2024 partirà da Firenze (forse) e sarà una gioia immensa per chi ama questo sport. Poi  girerà un po’ in Emilia prima di ritornare dall’altra parte delle Alpi in terra francese. Il Tour è il Tour ma questo sarà un altro Tour, un’altra cosa. Una scommessa rischiosa perchè  rompe storia e tradizioni che sono il cemento che conserva il mito di un evento. Che ciclismo è? E’ quello dei tempi moderni, figlio dello stato di necessità, dove i campioni contano ma i soldi pure, dove gli ingaggi crescono e dove i  bilanci si fanno nelle classifiche generali ma anche nei consigli di amministrazione. Niente di nuovo, probabilmente è sempre stato così ma adesso di più perchè le grandi aziende sponsorizzano ma senza esagerare perchè le leggi sono quelle del mercato, come si usa dire. Si sente tanto parlare di un ciclismo globale che non si capisce bene cosa sia se non la necessità di andare a prendere i soldi dove ci sono, che era poi quello che facevano tanti anni fa gli organizzatori delle garette di strapaese quando molestavano i “cumenda” della zona a caccia dei “danè”. E se servono tanti denari per organizzare il Trofeo tal dei tali figurarsi per Giro o Tour. E allora ci si abitua a tutto . Anche a un Giro che nei prossimi anni partirà dagli Stati Uniti e a un Tour de France che ha rischiato, come aveva annunciato il Thai Tourism Authority un paio di anni fa, di far tappa in Thailandia. Ma forse era troppo anche per i francesi e allora ben vengano Firenze e l’Italia. E se la legge è quella dello sponsor è una legge che non fa sconti. Alla storia, all’epica della corsa, al suo passato e ai suoi eroi. Tutto ha un prezzo. Una partenza, un arrivo, una tappa, un traguardo volante un gran premio della montagna anzichè un altro. Poi però bisogna pedalare e allora la differenza tornano a farla i campioni, le fughe e le salite. Se no poi magari capita come al Giro di quest’anno che senza grandissimi nomi, senza italiani in classifica, senza grandi imprese da ricordare gli spettatori un po’ s’annoiano, gli ascolti crollano e i conti davvero non tornano più. E allora partire da Budapest o Firenze potrebbe anche essere inutile.