Le pietre contano: 256 chilometri e 600metri di pietre e asfalto, da  Compiègne, a nord-nord-est di Parigi, al Velodromo di Roubaix. Una pietra dopo l’altra, infide, bagnate, a schiena d’asino cioè più alte e sconnesse nel mezzo per scivolare sui lati e sparire ai bordi dove spesso si può pedalare ma non sempre, perchè tra pubblico e transenne lo spazio non c’è e il rischio di agganciarsi a qualcosa o qualcuno è troppo alto. Una pietra dopo l’altra, più lontane che vicine,  a volte con l’erba in mezzo che rende tutto ancora più complicato tant’è che, Les Amis de Paris-Roubaix, l’associazione di volontari che si occupa della manutenzione dei 29 settori di pavé,  nei mesi scorsi ha  “assunto” un  gregge di caprette che l’erba l’ha praticamente spazzata via meglio di una falciatrice. Ma la distanza tra un cubetto e l’altro resta tant’è che se sbagli a mettere una ruota e ci finisci in mezzo non ne esci più, la bici si imbizzarrisce, va dove vuole e non serve più neanche provare ad aggrapparsi alle leve dei freni, perchè le mani tremano, le braccia pure e ogni gesto, anche il più semplice come fermarsi, diventa inutile. Sembra banale ma, mentre cerchi di capire dove mettere le ruote, continui a chiederti e a ripeterti come si possa finire una gara così, come si possa resistere, provarci, anche solo pensarci. Parigi-Roubaix:  chi l’ha fatta spiega che per restare in equilibrio, per non impazzire, per non cadere bisogna avere il coraggio di andar forte, bisogna tirare sui pedali anzichè spingere perchè così la bici tende a sollevarsi come fosse un aliscafo e bisogna aver la fortuna di non bucare. ” Se non cadi e non fori sei adatto per il pavè…” diceva qualche anno fa ai suoi ragazzi il mitico Ds Giancarlo Ferretti. Un “sergente di ferro” che non aveva mezze misure perchè sulla via della Roubaix le mezze misure non esistono. O dentro o fuori, o davanti nei primi cinquanta all’imbocco dell’Arenberg o addio sogni di gloria. Comunque vada da Compiègne al Velodrome è un sfida ad eliminazione. Restano in pochi. Resta chi ha un fisico “bestiale”, meglio se potente, meglio se prestante, meglio se un po’ pesante e la storia di chi ha vinto da queste parti insegna. Domani partiranno in 175. Dodici i “nostri”. La punta è Filippo Ganna , che dopo il secondo posto alla Milano-Sanremo cercherà di giocarsela ma non sarà il solo perchè della truppa azzurra, anche se con maglie diverse, fanno parte anche Matteo Trentin che al Fiandre ha fatto già vedere quanto vale,  Jonathan Milan, Alberto Dainese, Davide Ballerini, Daniel OssEdoardo AffiniAntonio Puppio, Matteo Moschetti,  Andrea PasqualonLuca Mozzato e Gianni Moscon che ha lasciato in anticipo il Giro dei Paesi baschi e che due anni fa, quando a vincere fu Sonny Colbrelli, arrivò quarto, attardato solo da un problema meccanico. Van der Poel, Van Aert, Pedersen, Kung, Van Baarle difficile se non impossibile far previsioni su chi arriverà prima di tutti al Velodrome perchè la Roubaix è così, i pronostici non valgono.  Inutile far nomi chi ama questo sport sa, conosce, ricorda.  Tutto ciò che della Roubaix si deve raccontare è stato già scritto. Chilometri di battaglie, di gioie immense, delusioni terribili. Di cadute, di dolore e di pianti. Tutto ciò che della Roubaix rimane è la sua storia scritta nella polvere o nel fango, sulle pietre che hanno creato il mito di una gara dove tutto sembra esagerato, epico forse anche un po’ retorico. C’è un cartellone che fa bella mostra di sè su una parabolica del Velodrome dove sta scritto che “L’inferno del Nord ti porta in Paradiso”. Ed è così davvero…