Prima di lui solo Knut Knudsen, il  norvegese  di Levanger  una città sui fiordi norvegesi, che nel 1975 vinse a Fiorano la prima tappa del Giro d’Italia e vestì per due giorni la maglia rosa.  Il “vichingo gentile”, così era stato soprannominato, due anni dopo concesse il bis trionfando nella cronometro di Pisa dove diede una “lezione” a Moser e a  Pollentier  e nel 1979 sfiorò la vittoria finale  che gli sfuggì solo nelle ultime tappe quando una caduta lo fermò nella discesa della Forcella del Monte Rest  e lo costrinse a lasciare la maglia al rampante Saronni. Storia. Storia che oggi ricomincia dopo i 175 chilometri  che hanno portato il gruppo fino a Lago Laceno con la maglia rosa che, nella tappa vinta dal francese Aurelian Paret-Peintre, finisce sulle spalle di Andreas Leknessund. Fuga a sette, poi a cinque, poi a due, alla fine volata: a uno la tappa, all’altro la maglia secondo una delle classiche regole mai scritte del ciclismo di ogni tempo. “Ero venuto al Giro per vincere una tappa ma questa maglia è speciale, regala una grande emozione- spiega il norvegese del team Dsm all’arrivo- Poterla indossare almeno per un giorno è incredibile, non ci credo ancora. La tappa è stata durissima, la prima ora e mezza di gara è stata una lotta dura. Mi piace andare in avanscoperta. Quando ho accelerato nel finale ho sentito le gambe bruciare, non potevo far meglio di questo secondo posto, ma poter indossare la maglia rosa è davvero un grande traguardo…”. Leknessund, 23 anni, di Tromso è considerato da tempo uno dei talenti emergenti del ciclismo dei nostri giorni e, dopo aver vinto negli anni passati il titolo nazionale a cronometro, tre anni fa è stato campione Europeo under 23 sempre contro il tempo.  Corre per la Dsm dal 2021 e  le prime vittorie da professionista sono arrivate in estate l’anno scorso con un successo di tappa al Giro di Svizzera e poi con la vittoria finale nella corsa di casa, l’Arctic Race of Norway.   E’ uno dei tanti norvegesi che in giro per il mondo contribuiscono con le loro imprese a sfatare la credenza che dalle loro parti non si faccia altro che sciare.  Ha lasciato la sua famiglia quando aveva sedici anni per provare a giocarsi la sua vita in bici. Da Polo Nord all’Olanda, qualche migliaio di chilometri più in giù ma in realtà un altro mondo perchè a  Tromso, un’isola collegata alla terraferma da un ponte che sembra salire in cielo sorvegliato dalla Cattedrale dei ghiacci,  la bici e il ciclismo lasciano il posto alla pesca e alle spedizioni polari. Qui, tra un’aurora boreale e un’altra, c’è ghiaccio in strada sei mesi l’anno e da ottobre a gennaio il sole è un’ipotesi di luce che dura dalle nove del mattino a mezzogiorno. Maglia rosa e capelli rossi, con lo sguardo sbarazzino e pulito di chi ha la felicità scolpita sul volto, oggi il norvegese ha pedalato, sofferto,  immaginato e pianto. Lacrime di gioia per un sogno diventato realtà.  Un sogno lontanissimo per uno  come lui cresciuto in quel pezzo di Norvegia che da Tromso va ad Harstad con una strada europea, un paio di tunnel sottomarini e  qualche stradina ghiacciata. Cresciuto  in un arcipelago che toglie il fiato,  miscela magica di fiordi e case di pescatori,  di merluzzi messi ad essiccare, di terre vichinghe diventate contee, di neve, ghiaccio e acqua che si toccano e si tengono stretti insieme aspettando che da Est il sole torni a farsi vivo. Difficile pedalare da queste parti, difficile allenarsi, difficile anche crederci.  Ma c’è un Norvegia che non ti aspetti. Quella ben raccontata anni fa  dal giornalista americano Tom Farrey che, in una ricerca pubblicata sul  New York Times provò a spiegare come avessero fatto gli Stati Uniti a diventare una superpotenza sportiva mondiale pur producendo una popolazione così sovrappeso e fisicamente inattiva,  e cercando modelli alternativi e si imbatté proprio nel sistema sportivo norvegese. “Immaginate una società in cui il 93% dei bambini cresce praticando sport organizzati, dove i costi sono bassi, le barriere economiche all’ingresso poche e dove gli adulti non iniziano a dividere i deboli dai forti finché i bambini non sono cresciuti, non si sono sviluppati fisicamente del tutto e non hanno manifestato con chiarezza i loro interessi- scrisse-. Bene questa è la Norvegia….”. Non solo sci di fondo. C’è anche il ciclismo. C’è anche Andreas Lekmessund che da oggi è maglia rosa…