Rendere giustizia a Davide Rebellin nelle aule del Tribunale dove si sta cercando di capire come sia stato ucciso e  in quelle del Cio per rendere al campione olimpico che conquistò un argento l’onore e la gloria ingiustamente sottratti.  Così proprio nel giorno in cui Wolfgang Rieke, il camionista tedesco accusato di averlo travolto e ucciso risponde per due ore a tutte le domande del gip Nicolò Gianesin, si scusa perchè dice di non averlo visto e tramite il suo legale chiede i domiciliari in Germania e a Vicenza, il Sottosegretario alla Cultura Vittorio Sgarbi chiede al Comitato olimpico nazionale di sollecitare il CIO (Comité International Olympique) perché restituisca al campione veneto la medaglia d’argento vinta alle Olimpiadi di Pechino 2008. Gli era stata tolta perché sospettato di avere fatto uso di sostanze dopanti ma poi nel 2015, dopo una battaglia durata sette anni, Rebellin è stato assolto dalle accuse perché «il fatto non sussiste». «Cadute le accuse che lo perseguitarono in vita – commenta Sgarbi – sarebbe un segnale di giustizia e gratitudine restituirgli dignità e onore». Una storia tormentata quella del campione di San Bonifacio che non si era distinto solo nella gara olimpica. Cona settantina di vittorie è stato un pezzo di storia del nostro ciclismo.  Tante le classiche conquistate ma su tutto spicca l’annata d’oro del 2004, quando divenne il primo della storia a vincere in 8 giorni Amstel Gold Race, Freccia Vallone (conquistata 3 volte in tutto) e Liegi-Bastogne-Liegi. Nella sua bacheca anche la classica di  San Sebastian, il Gp di Francoforte, alcune tappe tappe al Giro  in cui fu anche maglia rosa e alla Vuelta, la Tirreno-Adriatico e la Parigi-Nizza. Nel 2008 arrivò la medaglia d’argento nella prova in linea all’Olimpiade di Pechino a cui seguirono le accuse di positività al Cera da cui venne completamente assolto dal Tribunale di Padova sette anni dopo e che , oltre ad avergli segnato in modo pesante un pezzo di carriera con squalifiche ed esclusioni da gare, lo aveva profondamente provato dal punto di vista personale. E per rendersene conto basta dare un’occhiata alla lettera che a settembre del 2015 scrisse alla Gazzetta dello Sport dopo aver vinto  la Coppa Agostoni : «Il 30 aprile 2015, dopo sette anni di processo interminabile, la sentenza del tribunale mi è stata favorevole con l’assoluzione piena dall’accusa di doping ai Giochi Olimpici 2008 e di evasione fiscale- scriveva Rebelllin–  È stata una lunga battaglia, più estenuante di qualsiasi corsa, ma è la vittoria più giusta e più importante della mia carriera… Non voglio rifare il processo (la giusta sentenza finale è la cosa più importante), ma vorrei solo dire che non ho mai avuto risposte e spiegazioni nonostante le numerose procedure dei controlli non rispettate, come per esempio campioni di sangue spariti, andati tra le mani di…non sappiamo chi. Ho subito ingiustamente una squalifica di due anni, ma è come se fosse stata di sette: al mio rientro nel 2011 ho avuto tante porte chiuse da parte di alcuni organizzatori, manager e media, perdendo più energia nel cercare di poter fare il mio lavoro in modo giusto e dignitoso che nel fare pesanti allenamenti e pochissime gare. Sarebbe stato più semplice arrendersi…. Sono stati sette anni di calvario con la paura che tutto andasse in prescrizione, quando invece per me era importante che la sentenza arrivasse prima per avere l’assoluzione piena. Finalmente la giusta sentenza è arrivata. Ma chi mi ridà quello che mi è stato tolto? Corse a me tanto care come le grandi classiche dove mi è stata negata la possibilità di partecipare, visibilità, possibilità di essere in grandi squadre, la medaglia Olimpica, la serenità personale e familiare. Chi riparerà la tristezza di mia moglie che mi ha conosciuto e amato nel periodo più difficile della mia vita e ha dovuto subire anche lei questa situazione ingiusta vedendo considerato suo marito alla stregua di un criminale, quando invece criminale era questo accanimento nei miei confronti senza mai voler ascoltare la mia verità?”.