Cova…Cova…Cova così come lo raccontava  Paolo Rosi nel 1983 ai mondiali di Helsinki. Poi Francesco Panetta, “diesel” come lo chiamavano tutti perché veniva fuori alla distanza e non ce n’era per nessuno. E furono medaglie, ori e argenti olimpici e mondiali.  Ma anche Danilo Goffi, maratoneta senza età che ha corso fino a ieri dopo aver messo in bacheca maratone e titoli europei. Tutti passati dalle mani sapienti di Giorgio Rondelli, un pezzo di storia dell’atletica azzurra, cinquant’anni in pista a spiegare, insegnare, seguire e far crescere migliaia di atleti passati dalle sue parti. Una “corsa infinita” che tradotta in cifre fanno 121 titoli di campione italiano conquistati dai suoi ragazzi e dalle 67 maglie azzurre che ha allenato.  Un pezzo di storia anche di Milano tant’è che pochi giorni fa Palazzo Marino ha voluto rendergli onore e omaggio con l’Ambrogino, il massimo riconoscimento cittadino che gli sarà consegnato il 7 dicembre nel giorno della festività ambrosiana.  Giusto così. Se questa tornata di premi ha sollevato non poche polemiche tra il sindaco Sala, l’opposizione e anche la sua maggioranaza il premio a Rondelli ha invece messo d’accordo tutti. La grande atletica è passata dalle sue parti , dalla mitica pista milanese del Centro sportivo XXV aprile dove ancora oggi, a 77 anni, allena ed è di casa. Diplomato ISEF ed insegnante di educazione fisica, il prof Rondelli nasce mezzofondista, campione italiano Allievi nei 1200 metri (3:16.2) nel 1962, poi azzurrino under 20 sempre in maglia Pro Patria Milano. Prima da atleta e poi da tecnico, ha legato il suo nome alla storica società milanese, dal 2007 confluita nel CUS Pro Patria Milano. Una monogamia d’altri tempi e forse un po’ fuori dal tempo per un coach che ha l’atletica che gli scorre nelle vene e forse oggi fatica un po’ giustificare i capricci degli atleti di questa generezione ma soprattutto quelli delle  mamme e e dei papà che accompagnano i figli ad allenarsi: ” Molti si meravigliano se faccio correre i ragazzi sotto la pioggia…” confidava pochi giorni fa in occasione della presentazione della Milano 21, la “mezza” che si correrà domenica a Milano.  Altra generazione, altra stoffa: “E’ cambiata l’atletica? Certo che è cambiata- raccontava qualche anno fa ad una platea di passionati durante un incontro in una palestra in centro a Milano- Una volta gente come Cova, Panetta, Goffi avevano meno distrazioni. C’era meno di tutto. Oggi ci siamo imborghesiti. Oggi i ragazzi si lasciano distrarre più facilmente. Ed è’ un po’ cambiato anche il concetto di fatica. Una volta un allenamento duro di un’ora e mezzo era la regola, oggi quell’ora e mezzo è diventata un’ora…”.   Abituato a lavorare con macchine da Formula Uno che si allenano, corrono e recuperano con tempi da formula uno da qualche tempo un’occhiata agli amatori ha cominciato a darla: “Correre tutti insieme è sbagliato- è la sua filosofia- Alla fine i migliori si adeguano ai peggiori emergono solo le negatività. Tempo fa allenavo un gruppo di amatori che chiamavo “Romagna mia” perché correvano e se la raccontavano tirando dentro anche chi poteva andar più forte. Così li ho divisi. I più lenti partivano davanti, i più veloci due minuti dopo con l’ordine di raggiungerli. Alla fine sono migliorati tutti: quelli davanti che spingevano per non farsi prendere, quelli dietro che acceleravano chiudere il buco…”. Storie di corsa, di campioni, di medaglie, di giovani speranze, si serate intorno alla Montagnetta, di riflettori accesi che fanno luce nella nebbia, di piste da fare e da rifare, di spogliatori che vanno a pezzi. Storie che valgono un Ambrogino. E l’atletica applaude.