“Quello lì ha una faccia di uno che vince la Liegi…”   A volte basta guardarla in faccia una persona per capire, per rendersi conto e magari per raccontare una grande impresa… Funzionava così l’Ufficio Facce di Beppe Viola che, seduto a un tavolo con Cochi e Renato, Enzo Jannacci e Teo Teocoli,  fissava chi entrava nel bar e stabiliva se fosse interista, milanista o chissà cos’altro.  L’Ufficio Facce rimetteva le cose a posto, chi a far di conto, chi ai posti di comando, chi alla publicrelescion…Un po’ come ha fatto oggi Tadej Pogacar che sulle strade delle Ardenne ha  messo tutti in riga , Mathieu Van der Poel compreso, e ha vinto per la seconda volta la Liegi-Bastogne-Liegi , aggiungendo alla sua bacheca la sesta monumento che, unitamente a due Tour e ad altre “quisquilie“, non è proprio male. L’Ufficio Facce non si sbagliava quasi mai  ma se in quella pasticceria di Gattullo a Milano fosse entrato oggi il giovane Tadej probabilmente Viola e compagni avrebbero toppato. Pogacar non ha la faccia da ciclista. Ha studiato alla Scuola Superiore di Ingegneria Meccanica di Lubiana e, dopo il diploma, si è iscritto alla Facoltà di Sport Management di Kranj. E infatti ha la faccia da studente, uno di quelli che trovi a ripassare in un giardino del Politecnico o nel chiostro della Statale prima di un esame, uno di quelli un po’ “secchioni” però svegli, che capiscono tutto al volo, gli basta dare un’occhiata agli appunti, che leggono una volta e ricordano, che non ripassano, non ripetono ad alta voce però poi gli esami li passano sena troppi patemi d’animo. Uno di quelli che in bici al massimo fanno le ciclopedalate  o che la domenica fanno la gita fuori porta con gli amici o con la fidanzata…Ma a volte le facce tradiscono e, dietro un sorriso sbarazzino, nascondono tutt’altra verità. Va così e così è andata anche oggi.  Tadej in bici è di un’altra cilindrata. Una bella accelerata sulla Redoute, non una Cote qualunque ma la più iconica, Richard Carapaz che prova a seguirlo ma va fuorigiri e saluti a tutti. Il resto sono più di una trentina di chilometri praticamente a cronometro come va di moda oggi nelle classiche dove lui e gli altri tre fenomeni vincono per distacco senza apparentemente far fatica mentre dietro si dannano l’anima ma inutilmente. Così osservi il campione sloveno sull’ultima Cote de la Roche aux Faucons salire come se stesse facendo cicloturismo e quando vedi arrivare Romain Bardet che sale zigzagando con la faccia stravolta dalla fatica, capisci che dietro fanno un altro sport.  Dettagli. Facce che raccontano storie differenti, talenti differenti, campioni differenti. Una volta i ciclisti  avevano gli “occhi allegri da italiani in gita e il naso triste come una salita…” Oggi non più. Oggi le facce raccontano altre mode e altri look, altre fatiche, altre bici, altre corse ma la sostanza resta. Ci sono onesti pedalatori, ci sono gregari, ci sono promesse che sbocciano o appassiscono, ci sono campioni e poi ci sono fuoriclasse assoluti. Pogacar è uno di questi. La sua storia è già scritta ma a 25 anni molto resta da scrivere. C’è il suo ciclismo che  un ciclismo da eroi che non lascia spazio a calcoli e tattiche e forse non lascia scampo e basta e poi c’è il ciclismo degli altri che prova a stargli a ruota, ad inseguire. Un ciclismo “normale” che come oggi corre solo per il secondo posto, che si deve accontentare, che non può competere. E un po’ lo sa, un po’ combatte ma poi si arrende. E allora la Redoute sembra tanto il Monte Sante Marie delle Strade Bianche con Tadej che allunga e se ne va e gli altri che si guardano e capiscono che è già tutto finito a 30, 40, 80 chilometri dall’arrivo, poco cambia. C’è ancora un ciclismo antico che più moderno non si può. C’è ancora un ciclismo che dà ragione ai sognatori, a chi va controvento, a chi è ostinato, ai romantici e a chi questo sport ce l’ha nel cuore e nell’anima e che vince per distacco. C’è  il ciclismo di Tadej Pogacar e poi c’è quello degli altri che sembrano due sport diversi.  Ma questo all’Ufficio Facce forse non lo potevano sapere…