Sul bastone del MilanoTri che va avanti e indietro sulle rive dell’Idroscalo ad un certo punto si resta in pochi. Non i migliori…C’è triathlon e triathlon ma non c’entrano le distanze. C’è un triathlon che racconta un’ altra storia, lontano parente di quello degli atleti veri e di chi fa sul serio, dei più allenati… E’ un triathlon che prova a scrollarsi via le rughe, che non vuole darla vinta al tempo, a qualche acciacco o a qualche chilo di troppo.  Che sfida i giudizi di chi sentenzia che “c’è una stagione per tutte le cose” ma che forse è solo un alibi per non mettersi in gioco o, forse ancora, solo mancanza di coraggio oppure solo invidia…E’ un triathlon di retrovia con pochi lustrini e poco pubblico, con le voci dello speaker in lontananza che annunciano il podio mentre c’è chi ancora sta correndo, con le transenne che si svuotano, con i ristori che quasi sbaraccano. E’ un triathlon dove, come si usa nel ciclismo, si fatica per non finire fuori tempo, per arrivare al traguardo, per portarsi a casa la maglia nera che fu di Malabrocca ma anche di tutti quelli che arrancano in fondo al gruppo. Con gli anni, con l’esperienza dicono quelli che non vogliono fartela pesare, si apprezza anche il lento andare, che non è un disonore. Anzi.  E’ il triathlon di chi sempre e comunque usa la muta, anche con l’acqua a 27 gradi, anche con il sole di luglio, anche quando, per la bella gioventù, è un peso pure il body. Ma tant’è. E’ un triathlon che sceglie linee defilate per non finire nella “tonnara”, che fatica a trovare il laccio della cerniera appena usciti dall’acqua, che non mette i piedi nudi sopra le scarpe da bici per guadagnarsi tre secondi in zona cambio, che non usa gli elastici per tener dritti i pedali. Tanto non serve. E’ il triathlon di chi “T1” e “T1” servono per rifiatare, rimettere a posto le idee, radunare le forze. E’ il triathlon di chi all’inizio corre piano, perchè la bici indolenzisce i quadricipiti e dopo corre piano lo stesso perchè a una certa età la fatica vale doppio. E’ il triathlon di chi si allena a casaccio perchè “tiene” un lavoro ma soprattutto “tiene” famiglia e quindi  non “tiene” tempo. E allora un giorno si nuota, l’altro si corre, quando c’è qualche ora in più si esce in bici in un ordine assolutamente casuale e confuso. E’ il triathlon dei compromessi che poi alla fine è un alibi per giustificare il fatto di essere scarsi ovunque. E’ il triathlon delle illusioni perchè, come dice un proverbio “l’occhio del padrone ingrassa il cavallo”  e allora, nella solitudine degli allenamenti ci sentiamo tutti eroi, ma poi quando ti passa a fianco tuo figlio capisci che fa un altro sport e vorresti scomparire. E’ il triathlon che mischia le carte. Che mette tutti insieme, che tiene tutti insieme, E’ il triathlon dove i ragazzi crescono (sani) facendo sport,  dove imparano a conoscere la fatica e forse per questo si rispettano e cementano le amicizie, dove poi magari si perdono per strada ma qualcosa gli resta dentro e allora quando si ritrovano, anche dopo tanto tempo, è come se il tempo dsi fosse fermato. Una  famiglia allargata che ogni tanto si riunisce, come nelle cene di Natale. Così anche all’Idroscalo pochi giorni fa. In una infinita giornata di sport che ha messo insieme 2500 atleti, piccoli, piccolissimi, giovani giovanissimi, meno giovani, quasi anziani…  Magia di un evento che svela e rivela come anche uno sport duro come questo posa diventare festa, intrattenimento, voglia i stare insieme .  Magia di uno sport che racconta quanto la fatica possa diventare un collante formidabile tra gli atleti, tra le persone, tra le generazioni. Campioni e “pippe”, giovani e non più giovani, padri e figli,  compagni e avversari, atleti che mollano e atleti che insistono. E, nonostante l’età, non si arrendono. C’è un fantastico film girato in Abruzzo, campione di incassi, con Antonio Albanese e Virginia Raffaele che racconta come si possa vivere e sopravvivere felici  in “un mondo a parte”. Ecco  è un po’ così: “la muntagna lo fa…“. Anche il triathlon lo fa…